Mese: Giugno 2023

CAPELLI DA FAVOLA? I CONSIGLI DI IDOLA ROMA, ECCELLENZA PARTENOPEA DELLA CAPITALE

Se fino a qualche anno fa, per le donne era quasi obbligatorio tagliarsi i capelli al compimento degli “anta”, ora per fortuna le cose sono cambiate. Le nostre mamme, e per chi è più giovane, le nostre nonne, lo sapevano bene: i quaranta anni erano l’anticamera della maturità, per non dire della vecchiaia, e non era più appropriato, per una donna, sfoggiare una chioma fluente. Per non parlare poi dei capelli bianchi, soggetti a una caccia senza esclusione di colpi e mascherati con cachet e tinture varie, spesso dai colori improbabili. Così, si vedevano donne con chiome corvine che cozzavano con una pelle non certo freschissima, e anziane con capelli dai riflessi azzurri, simili alle fate delle favole. Per non parlare poi del temutissimo e leggendario ‘rosso menopausa’, ossia quel colore tra il fiamma e il mogano, appannaggio delle più trasgressive (si fa per dire) cinquantenni di qualche decennio fa.

I consigli di Pako, art director di Idola Salon Roma

“Per questa stagione abbiamo pensato a colori caldi, che vanno dal castano cioccolato fino al biondo miele, abbandonando i toni freddi che spopolavano da qualche anno, Ma ovviamente ogni cliente è diversa ed è quindi importantissimo scegliere bene la nuance giusta”. Questo è il consiglio principale di Pako, direttore artistico del salone Idola di Roma. I fondatori del brand sono tutti partenopei, dimostrando ancora una volta, laddove ce ne fosse bisogno, l’eccellenza del nostro Meridione.accoglienza è calorosa e gentile, come da tradizione napoletana: le clienti sono prima di tutto ascoltate, coccolate con l’immancabile caffè e lo staff, giovanissimo e in buona parte proveniente dal sud Italia, lavora con entusiasmo sotto lo sguardo vigile di Pako. “I nostri saloni mettono la cliente al centro offrendo anzitutto una consulenza professionale che si basa non solo sulle sue richieste, ma anche sullo stato di salute della chioma”, continua l’art director. “Anzitutto tuteliamo e preserviamo i capelli, offrendo trattamenti mirati alle varie esigenze. Per esempio, in autunno quando la caduta diventa più evidente, è bene curarli con prodotti a base di tea tree oil, che li nutre e ne favorisce la crescita. Non esistono formule miracolose per avere capelli da favola, perché è la genetica a farla da padrona, ma si può avere una bella chioma curata usando i prodotti giusti”.

E i capelli bianchi?

La pandemia ha cambiato tutto, anche nell’hair style. Complice la chiusura forzata dei parrucchieri, camuffare le ricrescite bianche si è rivelato un problema, soprattutto per quelle che hanno meno manualità. Certo, gli spray ritocco hanno aiutato, ma coprire centimetri di ricrescita avrebbe significato quasi cimentarsi in una riverniciatura auto. Così, le donne hanno iniziato a mostrare i capelli bianchi, prima fra tutte Caroline di Monaco, seguita dalla bellissima Andy McDowell, alla regina Letizia di Spagna, e dalle tante donne che incontriamo nella vita quotidiana. Se pensiamo che fino a qualche anno fa era quasi impensabile mostrare l’argento nella chioma, pena essere considerate irrimediabilmente vecchie e obsolete, ora invece sono tantissime le donne che scelgono di non colorare più i capelli. “Portare il bianco lo trovo molto attuale, e consiglio di abbinarlo a tagli sbarazzini che danno verve e leggerezza”, dice Pako. “Il mio consiglio in questo caso è di enfatizzare il trucco, in quanto rendendo bianca la cornice del viso, l’attenzione andrà a focalizzarsi sulla sua parte centrale: quindi si a un make up bilanciato ma visibile, senza per questo essere marcato”, continua. “ E poi, sicuramente i capelli bianchi vanno curati con trattamenti anti giallo e nutriti, in quanto la mancanza di melanina li può rendere più fragili”, conclude il direttore artistico di Idola Roma.

Curvy e capelli. Qual è la scelta migliore?

E’ ancora vera l’equazione magra/capelli corti e curvy/capelli lunghi? “Assolutamente no. Ora viviamo in un’epoca nella quale una donna può osare quello che più desidera senza perdere il suo fascino. Basta giocare sulle giuste proporzioni e soprattutto valorizzare la bellezza di ognuna”, questo è il consiglio di Pako.

Mettiamocelo in testa: la bellezza non ha età, perché ogni età ha la sua bellezza.

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NEL 2023 CALO DELLE DONNE IN PARLAMENTO @ La Pillola Politica di Mava Fankù

Nel 2023, 23, cantava Dalida negli anni 60, ipotizzando un futuro ancora lontano e per noi ora presente, in modo non abbastanza apocalittico rispetto alle attuali catastrofi planetarie: dalla pandemia al minaccioso conflitto bellico russo-ucraino, fino ad arrivare al fenomeno più leggero, seppur socialmente grave, del calo di presenze femminili in parlamento.

La Camera delle Donne in Quirinale.

Dunque, benvenuti nel 2023! Persino gli uomini primitivi avevano più donne nelle loro caverne, di quante ne abbiamo noi oggi in Parlamento.

Ecco a voi il nuovo patriarcato alla moda: le donne di destra che non minacciano la supremazia maschile. Come Meloni, prima fra tutte a capo del maggiore partito di destra Fratelli d’Italia (mentre ”Le Sorelle d’Italia” sono una coppia di drag queen a capo dei Pride), nonché prima donna Presidente del Consiglio nella storia della nostra Repubblica, ma nella pratica come se fosse un uomo. 

Un collage di donne di destra

Un pò come si diceva di Ilary Clinton o Margaret Thatcher, che erano donne ritenute politicamente maschili.

Ma cosa importa avere più donne in Parlamento quando abbiamo ancora le idee di decenni fa?

L’importante è che le donne politiche siano belle, sorridenti e silenziate. Per non disturbare il patriarcato in azione.

E la Schlein che è diversamente bella e con idee anti-governo Meloni? È attaccata da ogni direzione, persino dalle sue stesse sinistre. Pensiamo al tormentone populista della sua armocromista da 350 euro l’ora, usato per discreditarla, partendo dal pretesto di un solo rigo, estrapolato dal contesto di una esaustiva intervista molto politica su Vogue, celebre rivista di moda e costume demonizzata come emblema del capitalismo.

Elly Schline

Discriminazione vera e propria verso una moderna donna di sinistra, boicottata anche dagli stessi compagni comunisti ortodossi che, pur di affossare il Partito Democratico, ”traditore del popolo”, preferiscono queste destre oscurantiste per minare il sistema.

Donne di destra unitevi contro il progresso e la liberazione femminile! E chi se ne importa se le donne sono meno del 31% oggi in Parlamento?

La camera delle donne in Quirinale

Forse invece di elezioni democratiche, dovremmo iniziare a votare per il sesso e il colore dei capelli dei politici. Almeno avremmo più donne bionde e procaci con un look berlusconiano, e meno Boldrini e Schlein che poco piacciono ai palati dei poteri forti.

In bocca al lupo alle donne emancipate della politica, sperando che presto imparino a mimetizzarsi, apparendo meno temibili e minacciose per gli uomini di potere.

Mava Fankù

Dalida canta “Nel 2023”

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“VOLEVO FARE IL GIORNALISTA”. POESIE, RIFLESSIONI E REALTA’ NEL LIBRO DI GIUSEPPE DI MATTEO

Volevo fare il giornalista.
Ogni giorno
mi tocca vendere l’anima
per due parole
che non hanno valore
(tratto da “Volevo fare il giornalista” di Giuseppe Di Matteo)

Alcuni lo definiscono il mestiere più bello del mondo e altri ne vengono attratti grazie ai film che celebrano le gesta dei big della stampa: il giornalismo in realtà è duro, è lotta, è un mondo difficile, a volte impossibile, nel quale vivere e lavorare. Giuseppe Di Matteo, classe 1983, ha al suo attivo diverse raccolte di poesie e un lungo curriculum in varie redazioni. “Volevo fare il giornalista” (2023, 4 Punte Edizioni), è l’ultima opera del giornalista e poeta pugliese; una raccolta di poesie brevi ma potenti che rappresentano situazioni vissute dall’autore, “un atto di accusa in versi” nei confronti di un mestiere a suo avviso “sempre più schiavile”. Grazie alla scrittura incisiva, scabra, essenziale, il libro si legge velocemente e altrettanto velocemente si rilegge, perché i componimenti sembrano dilatarsi ad ogni nuova lettura, liberando i significati racchiusi nei versi. Il libro, disponibile sui maggiori canali di distribuzione, è stato illustrato da Liliana Carone.

La copertina del libro

“Volevo fare il giornalista” (4 Punte Edizioni) è il titolo del suo ultimo libro. Sembra suonare molto provocatorio, soprattutto nei tempi attuali, dove gli attacchi alla professione sono molti. È così?“.

“In realtà non è affatto provocatorio e nemmeno tanto allusivo: sono un giornalista professionista da quasi dieci anni, ma non riesco a farlo come vorrei. Colpa soprattutto della precarietà che ormai è l’anima più profonda di questo mestiere. Per quanto riguarda gli attacchi alla professione, il primo non viene dai suoi nemici, è un fuoco amico. Alludo al modo in cui la professione sta cambiando per volontà di chi la esercita: ci si sta allontanando dal giornalismo di qualità, che era anzitutto un gioco di squadra, per inseguire altre logiche. Il racconto del mondo e della realtà viene quotidianamente sostituiti da un chiacchiericcio spacciato per cronaca: un’assurdità. La continua ricerca del sensazionalismo è un altro veleno che sta inquinando non poco quello che, a mio avviso a torto, viene considerato il mestiere più bello del mondo”.

Cosa salva del giornalismo attuale?

“La sua missione, che è la ricerca della verità. Ma anche l’opportunità che esso regala, e cioè raccontare il mondo. Lo si può fare in molti modi: io, per esempio, amo scrivere di attualità e cultura. Presto però l’arcobaleno scompare, per tanti motivi. Anzitutto perché ormai il giornalismo è un mestiere sempre più schiavile: tolti i privilegiati e i divi televisivi, gli altri fanno la fame o vivono tra mille difficoltà. Non si assume praticamente più, e quando lo si fa il talento non è quasi mai l’elemento più importante: spesso contano il nome che hai e le relazioni che puoi offrire. In secundis, il giornalismo è un mestiere feudale. Esistono infatti i proprietari terrieri degli spazi e degli argomenti: il che significa mettersi in fila per anni per ottenere al massimo un osso rosicchiato. Non parliamo poi dei compensi. Molti collaboratori esterni vengono pagati pochissimo: eppure sono loro che mandano avanti la baracca. Ma ci sono anche altri problemi. Il giornalismo è diventato un mestiere terribilmente impiegatizio: chi lavora in redazione spesso passa il suo tempo a passare i pezzi degli altri, a titolare e a riempire boxini; non si esce più, salvo lodevoli eccezioni; si è incatenati alle notizie d’agenzia e al web. Ma il giornalismo più vero e autentico è quello che ti permette anzitutto di parlare con le persone, di vedere e riferire.

A mio avviso, comunque, giornalismo più bello è quello che si fa in radio, dove non si è schiavi delle immagini e conta la forza della parola. Anche la carta stampata ha un suo fascino un po’ per lo stesso motivo; poi c’è l’oceano del web, che potrebbe essere uno spazio interessante ma spesso viene riempito di contenuti pessimi o banali; il giornalismo televisivo non mi piace per niente, anche perché in molti casi non racconta nulla se non l’ego smisurato del giornalista. Ovviamente salvo lodevoli eccezioni”.

Il libro è molto diretto, crudo, vero. Quali sono state le sue emozioni durante la stesura?

“Non è stato semplice lavorare alla stesura di questo libro. Non è un’autobiografia poetica, ci tengo a precisarlo, ma ovviamente c’è tanto del mio vissuto personale. So di cosa parlo, non mi sono inventato nulla. Ho tra l’altro raccolto nel libro un triste patrimonio di esperienze comuni di cui nessuno parla. Precarietà e stipendi da fame sono il pane quotidiano di tanti giornalisti che vivono del proprio lavoro e basta, senza inseguire la celebrità o patetici occhi di bue. I miei frammenti, ai quali mi auguro di aver conferito un minimo di sostanza poetica, sono dedicati non a caso ai miei compagni di sventura. Non poche volte ho avuto la tentazione di mollare, anche perché il mio è sostanzialmente il racconto di chi non ce l’ha fatta. E tuttavia è un racconto intellettualmente onesto, non un piagnisteo. Infatti, pur tra mille difficoltà e anche se ho scelto di provare la carriera dell’insegnamento, continuo a scrivere. Ho un tesserino da giornalista professionista: non rinuncio tanto facilmente a esercitare una professione alla quale ho dedicato, e dedico ancora, lacrime e passione”.

Scrittura come liberazione o libertà di scrittura?

«Direi più la prima, e mi piace citare non a caso la parte finale di una delle poesie più belle di Franco Fortini: “Nulla è sicuro, ma scrivi”.

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ROMA MAGICA: LA PAPESSA E IL VICUS PAPISSE

Narra la leggenda che la Papessa Giovanna fosse arrivata al soglio pontificio ingannando tutti sul suo sesso, ma che poi, in preda alle doglie, avesse partorito nei pressi della basilica di San Giovanni. Ancora oggi, il fatto è ricordato da un’edicola posta nel Vicus Papisse, un tratto di strada tra via dei Querceti e via dei Santi Quattro, vicino alla chiesa di San Clemente, nel cuore della Roma medievale.

L’edicola in Vicus Papisse

A chi non conosce questa storia, l’edicola potrebbe sembrare una semplice, piccola costruzione in onore della Madonna, dove i fedeli appongono gli ex voto per grazia ricevuta. Come è accaduto molto spesso, la Chiesa ha operato una stratificazione, o meglio una sostituzione: in questo caso, sostituendo al ricordo del parto scandaloso la purezza di un’immagine della Vergine, quasi a esorcizzare, a santificare un luogo contaminato.

L’interno dell’edicola tra via dei Querceti e via dei S.S.Quattro

Secondo la narrazione, la Papessa Giovanna era una donna inglese educata a Magonza che, grazie al suo fisico androgino, riuscì a divenire monaco e successivamente pontefice dall’855 all’857 col nome di Giovanni VIII. Durante una solenne processione pasquale, mentre tornava da San Pietro verso la basilica lateranense, il cavallo che montava la disarcionò, provocandole così il parto e svelando il segreto della sua femminilità. Qui la leggenda si fa confusa: secondo alcune versioni sembra che Giovanna morì a seguito del parto; altre la vedono rinchiusa in un convento, o addirittura legata per i piedi a un cavallo, trascinata lungo le vie di Roma e infine lapidata. Del bambino si sa poco o nulla: sarebbe diventato vescovo di Ostia, ma altre voci affermano che morì alla nascita.

Miniatura del 1420

Quella che pare una leggenda sembra però contenere una verità, purtroppo ancora attuale: ossia la proibizione per le donne consacrate di intraprendere la carriera ecclesiastica, come invece è consentito gli uomini; di amministrare i tutti i sacramenti; di ambire al trono di Pietro, relegandole invece ad una vita monastica, quasi come fossero le serve di vescovi e sacerdoti. Giovanna diviene così un’icona femminista: ha il coraggio, l’ambizione e la furbizia per ingannare il clero romano, accedere a studi assolutamente proibiti a una donna e diventare addirittura papa. Certo che la scoperta della sua femminilità, vista in quest’ottica, fu uno smacco pesantissimo per gli uomini a capo della Chiesa cattolica, e quindi, probabilmente, lavato col sangue. Ma Giovanna aveva creato un precedente, facendo comprendere alle donne che avevano il potere di cambiare le cose. Pur condannate all’ ora et labora senza nessuna possibilità di studiare; private dei loro beni familiari, stornati in favore dei fratelli in nome di una logica ereditaria dove, se i soldi non erano sufficienti a stringere un buon matrimonio, una delle figlie veniva spedita in convento; Giovanna rappresentava per queste donne un’ideale di libertà che bisognava assolutamente cancellare, precipitandola nella dannatio memoriae perpetua.

Che sia vero o che si tratti di un mito, purtroppo non esistono documenti che comprovino i fatti; ma la presenza dell’Arcano II, La Papessa, nei Tarocchi è molto interessante.

Partiamo dal fatto che i Tarocchi si sono diffusi nel Medioevo, dapprima apparentemente come un innocente gioco di carte, sebbene sia evidente che il loro linguaggio è molto più profondo. Proprio per questo, le raffigurazioni dovevano indicare eventi, persone, situazioni facilmente riconoscibili da tutti e, vista anche la forte componente religiosa nella vita medievale, che si ritrova nel Papa, nel Giudizio, nel Mondo, nella Morte, la Carta della Papessa pone almeno due interrogativi.

Il primo è: perché si è deciso di inserire la Papessa nei Tarocchi, se si tratta di una figura di fantasia? Si poteva pensare a qualsiasi altra figura di erudita, anche di epoca diversa. Perché non una Vestale oppure una sacerdotessa egizia?

Il secondo riguarda invece la veridicità della figura del pontefice donna: la Carta della Papessa vuole tramandare la memoria di Giovanna, per evitare che si perda tra le nebbie del tempo?

Se così fosse, i Tarocchi sarebbero stati concepiti anche come un mezzo per raccontare quello che non si poteva dire all’epoca, aggiungendo così un altra modalità di utilizzo, dopo quella del gioco e della divinazione.

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I MONDI DI GINA – l’imperdibile mostra dedicata alla Lollobrigida a Roma, Palazzo Poli fino al 8 ottobre

Una mostra di oltre 120 fotografie interamente dedicata alle mille arti della “diva eterna” Gina Lollobrigida che fu attrice, ma anche fotografa, disegnatrice, scultrice e persino cantante di grande talento. 

Un omaggio alla vita di questa icona universale, illustrata da foto provenienti dall’Archivio Luce Cinecittà, dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dal MuFoCo – Museo di Fotografia Contemporanea- e da altri archivi, filmati inediti e alcuni dei suoi favolosi gioielli Bulgari, degli abiti e dei costumi di scena che entrarono nella storia insieme all’Artista.

video @Archivio Luce

Vorrei essere ricordata soprattutto come artista e, perché no?, anche come attrice”: se questo è una sorta di testamento spirituale che Gina Lollobrigida affidò ad un’intervista, la mostra “I Mondi di Gina” promossa dal Ministero della cultura con Archivio Luce Cinecittà – è sicuramente un tassello fondamentale per comporre il profilo di questa artista straordinaria.

Ideata e curata dal Sottosegretario del MIC, Lucia Borgonzoni e dalla Presidente di Cinecittà, Chiara Sbarigia, “I Mondi di Gina” è un tributo all’eclettico talento di una delle più grandi attrici della storia del cinema italiano e internazionale. La Mostra – realizzata dal Luce nelle sale di Palazzo Poli, che si affaccia sulla Fontana di Trevi è un viaggio affascinante che ripercorre la sua intera vita illustrata da foto provenienti dall’Archivio Luce Cinecittà, dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dal MuFoCo – Museo di Fotografia Contemporanea – e da altri archivi.

“I Mondi di Gina” esporrà: oltre 120 fotografie, 2 abiti originali realizzati per l’Attrice da Gattinoni e 2 costumi di scena dei film “Venere Imperiale” e “La donna più bella del mondo” realizzati da Costumi d’Arte e alcuni gioielli Bulgari. Inoltre, saranno proiettati filmati inediti che raccontano la vita privata – grazie alla gentile concessione di Andrea Milko Skofic –  e quella pubblica della grande attrice.

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AQUARIUS. SONIA BRAGA E IL POST FEMMINISMO MILFICO @ PENSIERINI FILMICI DI MAVA FANKU’

Continuando il viaggio nello streaming di film A.C. (Ante Corona), mi sono imbattuta felicemente in “Aquarius” di Kleber Mendonca Filho con una notevole interpretazione di un’attrice famosissima per il pubblico televisivo delle soap operas.

Sonia Braga è di una intensità commovente, e in questo ruolo prende corpo quasi come riscatto nella sublimazione magistrale delle telenovelas brasiliane (dove si parlava sempre di cruzeiros), delle quali questa oramai grande attrice anche di cinema è stata la prima e indiscussa regina.

Qui il tema ricorrente dei capitoli in cui è suddivisa la storia è la casa. La Casa intesa come identità originaria e valore primigenio da preservare, valore materiale e sopratutto affettivo. Aquarius in alcuni momenti potrebbe sembrare lento e prevedibile, ma questa lentezza, che io amo quando un film mi prende, e’ funzionale allo stile narrativo del regista.

Anzi, è proprio nella lentezza delle azioni forse prevedibili che si gustano meglio i dettagli filmici, come la consumata arte interpretativa della protagonista che raggiunge l’apice nei suoi folgoranti primissimi piani, ma anche degli altri interpreti, davvero bravi e tutti credibili, in una realistica e sorprendente cinenovela d’autore.

Via via che la pellicola scorre, tra scene quotidiane di dialoghi e confronti familiari e amicali, vien voglia di conoscere questa donna e se ne apprezza il coraggio. Clara, critica musicale in pensione, una donna imperfetta come madre e moglie, anche in un particolare del corpo per un suo male combattuto e vinto, ma integra nei sentimenti più profondi per la sua numerosa famiglia e per i suoi amori, che ha sempre anteposto sopra ogni altra cosa.

La scena di sesso con un aitante gigolò, consigliatole da una sua amica trasgressiva, può essere letta come l’affermazione di un certo “neo-post-femminismo-milfico” di quelle donne che hanno vissuto e fatto la rivoluzione sessuale alla fine degli anni sessanta, ma anche come un naturale e disperato attaccamento alla vita di una donna ancora bella ma non più giovane e sola.

Comunque girate ad arte anche le scene hard di un festino pornografico, che lei spia dall’uscio socchiuso della porta. E un mirabolante piano sequenza, degno di Antonioni, girato probabilmente con camera mobile su carrello, che parte da una coppia mentre ha un rapporto sessuale rupestre, passando sull’adiacente campo sportivo dove si gioca una partita di pallone, per poi entrare da una finestra e fermarsi sul viso di Clara, in relax su un’amaca, che illumina d’improvviso lo schermo con la luce emanata dall’incredibile volto di Sonia Braga.

Lo stabile dell’Aquarius, che titola il film, è un originale progetto architettonico degli anni 40 costruito sul lungomare residenziale di Recife, ed è oramai deserto e abitato solo da Clara e dalla sua fedele domestica.

Lei non solo si ostina a non volerlo abbandonare, malgrado le ripetute pressioni familiari e le allettanti offerte di un giovane e cinico imprenditore edile che vuole farci business ma, sostenuta da un amato nipote, inizia una vera e propria guerra contro la società che sta comprando tutti gli appartamenti del quartiere, con avvincente finale a sorpresa.

Ed è sempre l’Aquarius e la sua splendida spiaggia adiacente, l’articolato set in cui si dipana l’intricata e intrigante trama di questo bel filmone di 140 godibilissimi minuti. Fa da contrappunto una fitta colonna sonora di brani musicali dei mitici anni 80 dei quali Clara ha una ricchissima collezione di vinili, molti rarissimi e ognuno dei quali ha una sua storia ed è legato ad un suo preciso ricordo di vita. Magnifica la canzone brasiliana scelta nel finale sui titoli di coda.

Film da vedere e ascoltare.

Parola di Mava Fanku’

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IL VIDEOSABATO: “VATICAN GIRL” QUARANTA ANNI SENZA EMANUELA ORLANDI

Dopo 40 anni dalla scomparsa, non si sa ancora niente di Emanuela Orlandi. Il 22 giugno 1983, Emanuela scomparve dopo essere uscita dalla scuola di musica, in pieno centro di Roma, risucchiata in un buco nero lungo 40 anni. Tra mitomani, depistaggi, silenzi, omissioni e omertà la famiglia non si è mai arresa. Pietro Orlandi, fratello della giovane, ha speso la sua vita per trovare la sorella finché, durante un brevissimo incontro con papa Francesco, il pontefice gli ha detto: “Emanuela è in cielo, pregate per lei”.

Vatican girl”, la serie Netflix, analizza in base alle testimonianze e ai pochi documenti, un caso ancora aperto. Proponiamo ai nostri lettori un estratto della serie. ricordando che domenica 25 giugno Pietro Orlandi ha organizzato un sit in che partirà da piazza Giovanni XXIII fino ad arrivare a piazza San Pietro, per chiedere finalmente la verità su Emanuela.

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LETIZIA BATTAGLIA SENZA FINE, LA MOSTRA ALLE TERME DI CARACALLA FINO AL 5 NOVEMBRE

NEL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DEGLI ATTENTATI MAFIOSI A SAN GIOVANNI IN LATERANO E A SAN GIORGIO AL VELABRO, LE TERME DI CARACALLA ACCOLGONO UNA MOSTRA OMAGGIO ALLA FOTOGRAFA SICILIANA, PALADINA DEI DIRITTI CIVILI.

Le Terme di Caracalla, ampliando il loro percorso di visita, accolgono dal 27 maggio al 5 novembre 2023 la mostra Letizia Battaglia Senza Fine, un omaggio alla fotografa siciliana, paladina dei diritti civili.
«Letizia Battaglia rappresenta un connubio esemplare tra impegno civile, sentire sociale e sguardo artistico – spiega Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma –. Nel trentesimo anniversario degli attentati a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro la Soprintendenza le dedica questa mostra, inaugurando alla fruizione due nuovi ambienti delle Terme di Caracalla, per dimostrare come le sue immagini raccontino a tutto tondo un’epoca entrando a pieno titolo nella storia della fotografia».
Promossa dalla Soprintendenza Speciale di Roma diretta da Daniela Porro, organizzata da Electa in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti, la mostra è curata da Paolo Falcone.

«Questo nuovo progetto mantiene la tradizione di comporre un’opera unica, atematica, atemporale e priva di gerarchie dove fotografie iconiche, appunti di viaggio, vita quotidiana costruiscono una narrazione aperta per conoscere e scoprire i tanti aspetti di Letizia Battaglia. E la sua grandezza – dice il curatore, Paolo Falcone -. Una costellazione di fotografie dove amore e dolore, dolcezza e dramma, passione e impegno, raccontano momenti della nostra storia».
Una selezione di 92 fotografie di grande formato riassume cinquant’anni del lavoro fotografico (1971-2020) di Battaglia con immagini iconiche, meno conosciute o inedite. La mostra si lascia scoprire attraverso la visita al monumento: a un focus narrativo all’interno della monumentale natatio, le Terme di Caracalla aggiungono con questa esposizione due nuovi ambienti dove sono esposti altri nuclei fotografici.
«Con questa mostra si allargano gli spazi di fruizione per i visitatori – dichiara Mirella Perlorenzi, Direttore del sito –. La Soprintendenza ha ripristinato un ingresso originale alla palestra occidentale e nell’altra sala, con la vasca, individuato il sistema di riscaldamento e un lacerto di mosaico geometrico. La continua attività di restauro delle Terme di Caracalla è una occasione di studio, ricerca e scoperta su questo incredibile monumento».
L’esposizione all’interno dell’area archeologica trae beneficio da un allestimento che rende omaggio a un’altra grande artista: l’architetta Lina Bo Bardi. A lei si devono gli espositori in lastre di cristallo temperato del Museo de Arte de São Paulo, in Brasile. Ai suoi famosi cavaletes del 1968 si ispirano le strutture espositive delle fotografie di Letizia Battaglia.
L’iniziativa si inserisce nel Caracalla Festival 2023 del Teatro dell’Opera, così nei giorni 25 e 28 luglio e 1° agosto presso il Teatro del Portico si terranno degli incontri dedicati a Letizia Battaglia e alla ricorrenza dell’attentato. In questa occasione sarà presentato il volume “Letizia Battaglia Senza Fine”, edito da Electa, dedicato alla fotografa siciliana.
«Sono particolarmente emozionato – dichiara Francesco Giambrone, Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma – che il Caracalla Festival 2023 ospiti la mostra di Letizia Battaglia che ha dedicato tutta la sua vita all’impegno civile e politico e alla fotografia. Ritrovare le sue opere in uno spazio meraviglioso come quello delle Terme di Caracalla, sarà come renderle un omaggio grato e commosso».
La mostra inoltre offre l’opportunità di ricordare i trent’anni dagli attentati a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro a Roma, avvenuti nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993. Una ferita nel cuore della città storica, che si lega alle immagini più note della fotografa, quelle della spietata guerra di mafia degli anni Settanta e Ottanta, una delle pagine più sanguinose, poetiche, struggenti e drammatiche della Sicilia, ma soprattutto allo spirito di Letizia Battaglia che ha sempre guardato alla fotografia come strumento di intervento e denuncia sociale.

COME VEDONO L’ITALIA DALL’ESTERO? MISSION IMPOSSIBLE! @ La Pillola Politica di Mava Fankù

All’estero sembra che non sappiano scegliere se ridere o piangere, quando sentono parlare della situazione politica italiana. Non che le cose dalle loro parti siano molto diverse: pensiamo ad esempio, agli scandali che hanno travolto ultimamente Boris Johnson con i suoi lockdown parties. Tuttavia, a partire dalla morte di Berlusconi con funerali di Stato e lutto nazionale, fino al governo delle destre di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, sembra che il nostro Paese sia diventato una sorta di circo mediatico di cui sparlare per distrarsi da problemi più seri.

Elly Schlein in un comizio

Anche se l’opinione europea e anche, perché no, mondiale è confusa dalla politica italiana, c’è chi guarda ad Elly Schlein con ammirazione, della cui passione per l’armocromia si è fatta un’arma di distrazione di massa. La sua voce forte e decisa e le sue scelte politiche hanno fatto molta impressione sui media internazionali, facendo sì che l’Italia continui ad essere un Paese molto interessante per gli osservatori esterni.

Nonostante tutte le difficoltà, il nostro Paese rimane affascinante per gli stranieri. La nostra storia, la cultura, la moda, la cucina: sono solo alcune delle cose che attirano l’attenzione del mondo intero. Anche se per la politica siamo considerati un Paese folcloristico, da raffigurare con facili vignette di triti stereotipi dove si mescola la pizza al bel canto, e la mafia al mandolino.

Un bacio per Silvio

Quindi, forse dovremmo prendere tutto con un pizzico di leggerezza.

Certo, la politica italiana dall’interno può essere frustrante, imbarazzante e sciagurata a volte, ma dobbiamo anche ammettere che ci offre un assortimento di contraddizioni e spunti satirici senza eguali. Quindi, invece di arrabbiarsi o preoccuparsi troppo, forse dovremmo sederci e goderci lo spettacolo.

La presidente del Consiglio Meloni e Tom Cruise durante la visita a Roma

E nella priorità dei problemi che ci affliggono è curioso vedere Meloni che riceve Tom Cruise, impegnato a Roma per le riprese dell’ennesimo episodio del suo cavallo di battaglia. “Le ‘mission impossible’ sono anche il nostro pane quotidiano al governo“. È il messaggio, accompagnato dall’emoticon di un sorriso, pubblicato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con una foto assieme alla stella di Hollywood, ricevuto a Palazzo Chigi lunedì scorso.

Italia Mission Impossible?

Mava Fankù

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ROMA E I TAROCCHI: LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI DI VIA VENETO

Situata a via Veneto, in una delle strade più famose di Roma, la Cripta dei Cappuccini è un luogo particolare, dove la morte è diventata arte. Questa affermazione potrebbe apparire strana, se non impossibile; ma entrando nella Cripta – formata da una serie di piccole cappelle poste l’una accanto all’altra – la sensazione è di poter assistere alla trasformazione del corpo, da unità vivente a scheletro. Trasformazione che è l’azione fondamentale dell’Arcano XIII o Arcano senza nome: La Morte.

Alla Cripta dei Cappuccini si accede attraverso il Museo omonimo: qui, giacciono i resti di circa quattromila frati. In ogni cappella si nota un pavimento in terra battuta, proveniente da Gerusalemme, dove sono sepolte le salme più recenti, contrassegnate dalle croci; poi, a seconda della dedicazione, ogni cappella presenta una sua caratteristica: c’è quella dei bacini, dove queste ossa sono state usate per creare delle architetture; oppure quella dei teschi, finanche ai rosoni che sono posti al soffitto o alle lanterne, tutte costruite con ossa. Nel progetto della Cripta però, non c’è spazio per il gusto del macabro, bensì per la riflessione sulla caducità della vita e dell’inutilità della corsa alle cose materiali.

La Cappella dei Teschi photo @Museo dei Frati Cappuccini di Roma

Sebbene venga simboleggiata differentemente su ogni mazzo, a volte come scheletro, a volte come figura vestita di nero, a volte come un cadavere a cavallo, la Morte ricopre sempre lo stesso ruolo: quello cioè, della Mietitrice, di colei che non bada alla ricchezza o al ceto di coloro che viene a prendere, facendo il suo lavoro con equità, senza distinzione tra ricchi e poveri, vecchi e giovani, re e servi.

In tempi più moderni Totò scrisse ‘A livella, poesia dedicata all’uguaglianza di fronte alla morte, dove il marchese e il netturbino valgono lo stesso, e non esiste denaro o ricchezza in grado di distinguere tra i defunti, o addirittura dissuadere la Morte dal suo passaggio. Davanti a lei, siamo tutti uguali.

Per comprendere il profondo significato di trasformazione simboleggiato da questa Carta, basta osservare la foto che segue questo paragrafo. Lo scheletro, che appartiene a una principessa Borghese, sorregge una falce e una bilancia. Pesa cioè le nostre azioni, come il dio egizio Anubis, per poi pareggiare i conti: la bilancia deve essere in equilibrio, quindi ogni azione sarà valutata attentamente. La simbologia del peso sarà poi ripresa nella carta della Giustizia, l’Arcano VIII.

Photo @Museo dei frati Cappuccini di Roma

In realtà, La Morte dei Tarocchi non vuole significare la dipartita fisica, bensì la trasformazione, il passaggio, laddove per rinascere a nuova vita bisogna prima morire, abbandonando l’esistenza precedente e le sue certezze. Nei Tarocchi di Marsiglia, la Morte è raffigurata come uno scheletro dove si notano il cranio bendato (le bende impedivano l’apertura della bocca del cadavere), le articolazioni in rosso e la spina dorsale, il braccio sinistro e la tibia destra in azzurro. Colori che si ritrovano nella lama della falce, che come da tradizione, la Morte adopera per tagliare, tanto che ai suoi piedi si trovano arti mozzati e anche una testa coronata. Ed è proprio questo verbo – tagliare – uno dei principali significati della Carta. Tagliare, trasformare, lasciar morire qualcosa per rinascere a nuova vita; cambiare, dare un taglio netto; significa anche un radicale cambio di stato.

La Carta ha un significato forte e, se ben aspettata, indica un cambiamento positivo. Se invece le Carte successive saranno critiche, oppure se uscirà rovesciata, allora il suo valore dovrà essere ben ponderato: potrebbero accadere separazioni, episodi molto dolorosi, crisi, rimozioni nel senso psicologico, e in alcuni casi anche episodi di violenza.

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