8 June 2023

Year: 2023

ROMA PRIDE 2023. INTANTO VI TOLGO IL PATROCINIO  @ La pillola politica di Mava Fankù

In una sorprendente svolta degli eventi, il Roma Pride 2023 si è ritrovato nelle acque umoristicamente tumultuose della politica italiana.

La Regione Lazio ha deciso di sospendere il patrocinio istituzionale perchè considera il Pride ”una manifestazione volta a promuovere comportamenti illegali”, lasciando gli organizzatori alle prese con la ricerca di sostenitori alternativi. Ops!

Ma niente paura, cari lettori; però mi chiedo: nel bel mezzo di questo caotico dramma per la comunità LGBTQ +, la leader del partito di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, nonché nostra attuale Presidente del Consiglio, si sarà forse presa la responsabilità di festeggiare con una bottiglia di spumante?

 Mentre stappa allegramente il tappo, qualcuno potrebbe chiedersi se la negazione del patrocinio sia inverosimilmente casuale, oppure dovuta alla presenza durante la manifestazione di sostenitori dell’Utero in Affitto, altrimenti detto Gravidanza Solidale per altri, come invece affermano i rumors.

Ma noi (ego e alter ego) crediamo che questo sia solo un pretesto per cominciare a danneggiare una libera manifestazione e di conseguenza una comunità di persone i cui diritti (fosse per ”loro”) non verrebbero proprio riconosciuti.

Il Sindaco di Roma Gualtieri, invece, purtroppo per loro dell’opposizione, ha assicurato il Patrocinio del Campidoglio e di inaugurare il corteo.come previsto.

Così, mentre aspettiamo novità dai piani alti della Regione, una cosa è certa: l’Italia non manca mai di offrire una buona dose di risate e divertimento. 

Almeno a chi ci osserva dall’esterno estero, perchè dall’interno c’è poco da stare allegri per gli appassionati del libero pensiero e della libera espressione.

Come dice quella bellissima massima di Voltaire (o chi per lui)?

 ”Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”.

Ecco, niente di tutto questo.

Auguri al Pride!

Mava Fankù

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“A CORPO VIVO”: LE NUOVE POESIE E LE BELLE CONVERSAZIONI SULL’AMORE CON ANNA SEGRE

Anna Segre ne ha fatta un’altra. Una nuova, bellissima raccolta di poesie d’amore intitolata “A corpo vivo”. Come lei stessa lo ha definito si tratta del frutto della sua rinascita. Abbiamo incontrato l’autrice che è anche medica, psicoterapeuta e tanto altro, per parlare d’amore e di poesia. Per chi volesse, la prossima presentazione sarà a Roma venerdì 16 giugno alla 18.30 , Polo Museale dei Trasporti in via B. Bossi, 9 organizzata dall’associazione TrAmBuSto Letterario. Con la poeta sarà presente anche l’attrice teatrale Giuditta Cambieri.

Anna Segre, sulla copertina del suo ultimo libro di poesie “A corpo vivo”, lei ha scritto: “C’è qualcosa di più rischioso che amare davvero qualcuno?”. Cos’è l’amore per lei?

“Amore, parola riassuntiva e depistante, è la risorsa delle risorse. Non c’è che l’amore per cui si compete, si vuol essere migliori, ricchi, bravi, riconosciuti. Tutto confluisce lì, al voler essere amati, a ciò che si crede serva per essere amati (essere belli, magri, colti o con le armi più forti o coi migliori cromosomi o con la giusta collocazione sociale).

Amore, estrema necessità per l’essere umano, che può sublimarla, appunto, in ciò che crede serva per averlo, un corpo perfetto, un grande potere, un orologio di marca, è, appunto,

terribile poiché ineludibile.

Terribile poiché non protocollabile.

Terribile, per la terza volta, poiché la grande forza di chi ama non è irreggimentabile, sfruttabile, anche se le religioni e i governi ci provano riempiendo di motivazioni atte ai loro scopi (ordine sociale, guerra, riproduzione) la parola amore. E lui travalica religioni e governi trasgredendo e scavalcando i recinti, trovando una parziale rappresentazione nella musica, nella poesia, nella letteratura e nella spiritualità.

L’amore, mi viene da dire, è un dio che guida i nostri legami, che dà scopo alla nostra esistenza, che ci mette in relazione gli uni con gli altri e crea coesione, collaborazione, empatia, anche collettive.

Chi ama ne è posseduto, poiché non può né comandarsi di amare né imporsi di smettere.

La psichiatria non può chiudere l’innamoramento e l’amore in definizioni neurotrasmettitoriali esaustive che tutto spieghino, né dare una definizione dello scopo specifico dell’amore, come invece si può fare per le emozioni in genere. Ogni emozione copre uno scopo relazionale con l’ambiente.

La rabbia: sto subendo un’ingiustizia, stanno calpestando un mio diritto.

La paura: sta per succedere qualcosa di terribile. E’ certo che soffrirò moltissimo.

L’ansia: sono in attesa di qualcosa che potrebbe essere sia negativo che positivo. E se fosse negativo? Che farò?

E così via.

Con l’amore questo non è possibile, poiché per ciascuno amore corrisponde a qualcosa di diverso.

E si badi bene: non sappiamo in che modo ognuno crei questo suo dio possedente, possiamo a volte ricostruirne alcune parti, l’infanzia, i traumi, la personalità, ma mai l’intero perché del tuo innamoramento e amore.

Amare, dunque, significa, secondo me, avvicinarsi al nutrimento fondamentale e al contempo sapere che si potrebbe non averlo più per i più disparati (e fuori dal nostro controllo, come l’amore!) motivi:

cause di forza maggiore,

malattie,

morte,

famiglie avverse,

guerre,

proiettili vaganti,

il muro di Berlino,

un terremoto,

e la fine del sentimento stesso da parte della persona amata.

Amare è rischiare.

Non amare, per me, può accedere a un’assenza di senso, insomma, al costrutto di base della depressione”.

Anna Segre e Giuditta Cambieri

“A corpo vivo”. Dopo la “Distruzione dell’amore” questo titolo sembra alludere quasi a una resurrezione. E’ così?

“Sì. E’ stato come rinascere, accorgermi di amare di nuovo, dopo tanti anni. Ero come spenta, tranquilla e grigia, sempre più evanescente. E poi mi sono innamorata e, paf, ero di nuovo a tre dimensioni. E mi sono messa a scrivere le poesie per lei, per corteggiarla, per raccontarla, per ipotizzarci, fantasticarci noi, insieme, per creare linguaggio coniugato alla prima persona plurale”.

La copertina del libro di poesie di Anna Segre

Quanto ha amato, Anna Segre?

“Questo libro è il frutto della rinascita. Ho amato tanto. Sempre pensando, nel mio fondamentalismo divino, che fosse l’unica persona possibile. E’ stato come seminare, coltivare, aspettare, bestemmiare e raccogliere i frutti. E ci sono stati ogni volta, i frutti. Nel mio caso, con le mie amori, ci siamo sempre perdonate la fine della relazione inaugurando nuove stagioni di frequentazioni e progetti diversi da quello originario. No, non erano, ognuna, l’unica possibile. Però posso giurare di averlo creduto con ogni mia cellula, quando gliel’ho detto. Mi ricordo perché ti ho amata, non ho bisogno di infangare la tua memoria per lasciarti, anche quando non ti amo più. E mi ricordo perché è finita, me lo tatuo dentro, il perché della fine. Ma potrebbe essere la fine di un periodo neurotrasmettitoriale, di una curva chimica che flette in due/quattro anni e ti lascia senza più voglia di quella persona. Come la fine di una stagione”.

Quanto ha odiato l’amore, Anna Segre?

“Bestemmiando, appunto. Ho odiato (ammetto di saper odiare) l’amore come si odia qualcosa di irrinunciabile. Lui, come dio, se ne fotte di me, io invece non posso vivere bene senza di lui”.

E’ innamorata?

“Sono innamorata pazza, sì. E questo libro parla del desiderio. E’ la storia di questo desiderio, com’è nato e come si è sviluppato. Non vi dico la fine, sarebbe spoilerare!”.

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IPOTESI METAVERSO: LA MOSTRA A ROMA, PALAZZO CIPOLLA FINO AL 23 LUGLIO

Video @TuaTv @Italpress

Ipotesi Metaverso

A CURA DI GABRIELE SIMONGINI E SERENA TABACCHI
DAL 5 APRILE AL 23 LUGLIO A ROMA A PALAZZO CIPOLLA

Altalene immersive, filosofia digitale zen, tecnonatura, visori di realtà virtuale, intelligenza artificiale, sculture blockchain, poesia e suoni generativi: dal 5 aprile al 23 luglio 2023, l’ottocentesco Palazzo Cipolla di Roma, in Via del Corso, si trasforma in Ipotesi Metaverso, immersione nella mente dei creatori di mondi dal Barocco e, ad oggi, una tra le prime mostre internazionali a porsi domande e ipotesi sul concetto tecnologico/esistenziale di Metaverso.
La mostra è frutto dell’intuizione e della visione del Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, che l’ha fortemente voluta, intercettando le tendenze più all’avanguardia dell’arte contemporanea internazionale. Non a caso il Prof. Emanuele è colui il quale ha dato vita nel 1999 allo spazio espositivo di Palazzo Cipolla a Roma, che in 24 anni ha ospitato ben 59 mostre, curandone personalmente la programmazione e spaziando dall’arte antica all’arte contemporanea sia nazionale che internazionale.
La mostra, curata da Gabriele Simongini e Serena Tabacchi, è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale ed è realizzata da Poema SpA.

Una delle sale espositive multimediali della mostra

Grandi artisti del passato incontrano i contemporanei sul terreno dell’immaginazione e della creazione di nuove dimensioni spaziali/esistenziali in una mostra che vedrà insieme opere storiche di Carlo Maratti, Andrea Pozzo, Giovanni Battista Piranesi, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Fortunato Depero, De Pistoris, Giorgio de Chirico, Maurits Cornelis Escher, Victor Vasarely, Ugo Nespolo, Giulio Paolini, Giuseppe Fiducia, Pier Augusto Breccia, Alfredo Zelli, Cesar Santos, e opere site-specific di alcuni tra gli artisti digitali più innovativi e dirompenti della scena contemporanea italiana e internazionale: Robert Alice, Refik Anadol, Alex Braga, Joshua Chaplin, Sofia Crespo e/and Feileacan McCormick, Damjanski, Primavera De Filippi, fuse*, Fabio Giampietro con/with Paolo Di Giacomo, Krista Kim, Mario Klingemann, Pak, Joe Pease, Federico Solmi, Sasha Stiles, Pinar Yoldas.
Ogni spazio di Palazzo Cipolla diventerà un mondo a sé, all’interno del quale saranno definiti regole e spazi sempre diversi: un’altalena speciale darà al visitatore la sensazione di tuffarsi in un mondo parallelo, immagini digitali prenderanno improvvisamente corpo nella realtà fisica, un’opera immersiva visualizzerà la “filosofia digitale zen”, una performance sonora creerà un’esperienza di moltiplicazione sensoriale, ci si immergerà in poesie generative, si incontreranno sculture costruite su tecnologia blockchain e opere interattive che uniscono scienze biologiche e tecnologie digitali con la creazione di una “seconda natura”. Un percorso multimediale e multisensoriale tra pittura, scultura, incisione, arte digitale, poesia, musica, fino all’intelligenza artificiale.

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IL FEMMINICIDIO DI GIULIA TRAMONTANO. QUANDO LE PAROLE NON BASTANO

Ripercorriamo le fasi del femminicidio di Giulia Tramontano, barbaramente uccisa dal compagno perché aveva smontato il suo castello di bugie, omissioni e tradimenti. Narreremo solo i fatti, lasciando le conclusioni ai lettori, perché di questo ennesimo delitto ai danni delle donne si è detto troppo e, a volte, in modo impreciso.

In foto: Giulia Tramontano. Immagini web

Dopo che Alessandro Impagnatiello è stato arrestato per il femminicidio di Giulia Tramontano, senza che peraltro abbia chiesto pubblicamente scusa alla famiglia della vittima; dopo la dichiarazione del suo avvocato, secondo la quale: “l’unica forma di pentimento che lui (Impagnatiello, ndr) ritiene abbia un senso in questo momento è quella eventualmente di togliersi la vita“, facendo così nascere il legittimo dubbio che questa presunta volontà suicida possa ridurre la severità della detenzione facendola diventare domiciliare oppure da scontare in una struttura psichiatrica; dopo che la madre del femminicida ha accettato di rilasciare un’intervista per RAI1, nella quale tra le lacrime, ha chiesto scusa di avere dato la vita a un mostro, perché la colpa non è del femminicida, ovviamente, ma della madre; a questo punto mi pare chiaro che ci sia qualcosa che non torna. Ma occupiamoci dei fatti, e non delle supposizioni.

GIULIA TRAMONTANO E TIAGO, LE VITTIME

Giulia Tramontano, immagini web

Giulia Tramontano, quando è stata ammazzata, era incinta di sette mesi di Tiago, il maschietto che avrebbe visto la luce in estate. La sua relazione con Alessandro Impagniatiello non è semplice, ma burrascosa e minata dai sospetti di tradimento, tanto che secondo Chiara Tramontano, sorella di Giulia, sembra che scoperta la gravidanza, la donna avesse pensato di ricorrere all’aborto, tornando poi indietro sulla sua decisione. Un giorno, sembrerebbe già da gennaio, scopre senza ombra di dubbio che Impagnatiello la tradisce, ma nonostante questo decide di non interrompere la relazione.

https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/giulia-tramontano-tradimento-omicidio-ueo8io59

Si mette allora sulle tracce dell’altra donna e la trova: è una collega di lui. Anche questa ragazza è rimasta incinta di Impagnatiello, ma ha deciso di abortire. Simpatizzano e si confidano, restando in contatto. Probabilmente messo spalle al muro durante un confronto con le prove del tradimento davanti, Impagnatiello uccide Giulia con diverse coltellate, tentando di bruciarne il cadavere nella vasca da bagno; poi, viste le difficoltà, prima lo porta in un box di famiglia, dove prova una seconda volta a dargli fuoco, e poi lo carica nel bagagliaio dell’auto e lo trasporta fino all’intercapedine di via Monte Rosa a Senago in provincia di Milano, dove il cadavere della giovane donna è stato ritrovato. Nel frattempo, col corpo di Giulia in macchina, si reca dall’ex amante per dirle che la compagna se ne è andata via, lo ha lasciato, e che ora è un uomo libero e possono ricominciare da capo. La giovane non ci crede e non lo fa salire a casa sua. Poteva essere compiuto un secondo femminicidio? Non si sa. Forse.

L’ALTRA DONNA

L’altra donna, della quale non si conosce il nome, è una ragazza poco più che ventenne, anche lei impiegata nell’Armani Bamboo Bar di Milano, come il femminicida. Ignara di Giulia, la ragazza inizia una relazione con Impagnatiello e ne rimane incinta. Non vuole portare avanti la gravidanza, così lo comunica al compagno, che si mostra d’accordo. Abortisce. Quando Giulia Tramontano la contatta e le rivela di essere incinta a sua volta, affronta Impagniatiello che, magicamente, tira fuori dal cilindro un falso test del DNA che lo esclude come padre di Tiago, accusando inoltre Giulia di avere problemi mentali. Lei però non gli crede e decide di lasciarlo.

ALESSANDRO IMPAGNIATIELLO, FEMMINICIDA

Alessandro Impagniatiello ripreso da una telecamera mentre esce da casa. Immagine web

Le foto lo ritraggono con la faccia pulita e un bel sorriso, forse le armi che ha sempre adoperato per circuire quelle donne che sono cadute nella sua rete. Padre di un bimbo di circa sette anni, mentre sono in corso le ricerche di Giulia, chiama la ex compagna e chiede di poter vedere il bambino: “Voglio stare con lui”. Anche la donna ha dovuto affrontare lo stesso passato fatto di tradimenti e bugie riuscendo però a intrattenere rapporti civili con Impagniatiello. Ma stavolta cambia atteggiamento, lo vede strano e gli nega l’autorizzazione a vedere il piccolo. 

“L’HO UCCISA PER NON FARLA SOFFRIRE”

Impagniatiello ha ucciso Giulia a coltellate sabato 27 maggio tentando poi di sviare i sospetti e continuando a inviare messaggi dal cellulare della donna alle amiche e ai familiari che tentavano invano di comunicare con lei, rassicurandoli. Impagniatiello ha viaggiato col cadavere nel bagagliaio per tre giorni, fino a quando lo ha abbandonato nell’intercapedine tra due box, poco lontano da casa. Narciso o pazzo, non sta a noi deciderlo. Quello che è certo è che ha ucciso barbaramente Giulia perché lei aveva scoperto il suo castello di bugie. Non è un vero padre, tuttavia ha avuto tre figli da tre donne diverse, delle quali una ha abortito e l’altra ha visto morire il feto che portava in grembo a seguito delle coltellate subite. Non chiamiamolo pazzo, bensì col suo vero nome: femminicida. “Mentre veniva verso la sala con il coltello che stava usando per i pomodori, ha iniziato a procurarsi dei tagli sulle braccia (…) mi diceva che non voleva più vivere (…) si era già inferta qualche colpo all’altezza del collo e io arrivato vicino a lei, per non farla soffrire le ho inferto anche io tre o quattro colpi all’altezza del collo”. Così, come si legge nel decreto di fermo dei pm di Milano.

IL PARERE DELLA CRIMINOLOGA

La criminologa Roberta Bruzzone propende per la premeditazione, mentre il GIP la esclude per motivi tecnici. Tuttavia, sembra che sul pc del giovane siano state trovate tracce di ricerche in merito a come disfarsi di un cadavere dandogli fuoco. Il video che segue, tratto dal canale YouTube di Bruzzone, è interessantissimo per la sua attenta analisi dei fatti.

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ARTISTI SULLA GIOSTRA DEL POTERE. IL CASO ARISA  @ Pensierini spettacolari di Mava Fankù

Da una ipotetica mini lista di artisti di regime.

Lorella Cuccarini è da tanto tempo che ha espresso le sue simpatie sovraniste, e lo ha fatto anche Rita Pavone, dandomi un grande dispiacere perché l’amavo tanto da piccola piccola, quando faceva Gianburrasca; la simpatica Zanicchi poi, nel passato si è candidata per Forza Italia, mentre la Berti è secondo me, una qualunquista che si presta, per esprimere le sue opinioni da popolana sempliciotta nelle trasmissioni destrorse di Rete4 & co. 

E come loro, tanti altri artisti che ad ogni legislatura montano sul carro dei vincitori, o seguono il partito preso dalle origini, perché si sa, che se si vuol fare una buona carriera, specie televisiva, occorre avere il santo in Paradiso.

Video @YouTube La Confessione – Arisa – Peter Gomez – La9

Ma il caso che sta facendo discutere  è quello di Arisa, molto amata dalla comunità LGBTQ+, che avrebbe dovuto presenziare quest’anno a due Pride, quello di Milano e quello di  Roma (come Elodie l’anno scorso),  e che di recente, durante un’intervista a Domenica In, incalzata dalla Venier ha dichiarato: “Giorgia Meloni mi piace perché ha molta cazzimma”. (https://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/35935838/arisa-domenica-in-cosa-costretta-dire-giorgia-meloni.html).

Questo ha suscitato l’indignazione di molti, se non proprio un senso di tradimento per quei fans che la adorano e si sono sentiti traditi.

video @YouTube Arisa parla ai gay che la attaccano

 I dirigenti del Pride di Milano hanno annullato la sua partecipazione, così il manager della cantante che ha ritenuto opportuno consigliarle di non partecipare nemmeno al Pride di Roma, per non farla mettere in imbarazzo dalla vagonata di insulti che sta ricevendo sui social e che, probabilmente,  riceverebbe anche al Pride romano, se mai salisse sul primo carro alla guida del corteo.

  Quella di Arisa sembrerebbe una dichiarazione tornacontista per preservare ed incrementare le sue presenze televisive, magari  in prossimità dei casting di Sanremo, anche se lei ovviamente lo nega.

 In questa fase di restaurazione e vera e propria epurazione dei capisaldi del giornalismo televisivo di informazione e intrattenimento, come ad esempio Fazio, la furbacchiona Rosalba Pippa (in arte Arisa) ha preferito salire sul carro dei vincitori politici, genuflettendosi davanti alla Regina. 

Video @YouTube Arisa ”sogna” Meloni al Pride

Ma alla luce del suo ultimo video social, in cui auspica la presenza di Meloni al Pride, concediamo alla brava cantante il beneficio del dubbio.

Le opzioni sono due: o Rosalba Arisa è politicamente ignorante come una capra e non sa che le destre meloniane non sono per niente liberali (mentre quelle berlusconiane sono state “libertine” per agevolare le trasgressioni dell’imperatore), oppure è in malafede e vuole ingraziarsi la comunità Lgbtq+ in occasione del Pride con le sue finte ingenuità, per non vedere dimezzato il suo fatturato.

Ai suoi manager e commercialisti l’ardua sentenza.

Mava Fankù

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VIDEOSABATO PRIDE MONTH: “VENERE È UN RAGAZZO” IL CORTO CULT LGBTQ+ DI GIUSEPPE SCIARRA

Foto di copertina @Antonella De Angelis

Pluripremiato – dal Nice Iff per la miglior sceneggiatura al premio miglior regia per il magazine di culto Cinefact – il corto di Sciarra è diventato un cult LGBTQ+. In occasione del mese del Pride ne proponiamo ai nostri lettori la versione integrale. Buona visione!

Venere è un ragazzo parla della difficoltà di amarsi e di conseguenza della domanda che attanaglia molte persone della nostra epoca: come farsi amare in una società dove si cerca se stessi nella propria immagine e non interiormente? I protagonisti sanno che devono essere belli per essere qualcuno e per essere qualcosa per le altre persone, e ciò li porta all’accanimento sui propri corpi, a voler esteriorizzare le proprie emozioni scolpendo gli addominali o ricorrendo maniacalmente al botox. Il corto è anche un lavoro filmico che sovverte gli stereotipi sulla figura dei crossdresser e che parla di fluidità in maniera schietta, ma anche di prostituzione in modo inconsueto, visto che il protagonista non si limita a dare piacere alla sue cliente, ma anche affetto. Un affetto che la madre non è riuscita a dargli pienamente quando lui ne aveva più bisogno. Venere è un ragazzo è sicuramente tante cose, va rivisto e rivisto perché a ogni visione in soli 15 minuti riesce a dare tanti input allo spettatore. La scena finale con il brano cul, “Two men in love” della band britannica The Irrepressibles mette in scena in un gay Village fatto di piani stretti, l’amore ma anche l’amarezza di una pista da ballo dove si cerca o almeno si prova a essere felici e liberi prima di ritornare alla solitudine della realtà quotidiana”. Giuseppe Sciarra, regista e autore del corto “Venere è un ragazzo”.

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2 GIUGNO FESTA DELLA REPUBBLICA. SANDRO PERTINI E IL FASCISMO “L’ANTITESI DI OGNI FEDE POLITICA”

In occasione della Festa della Repubblica, proponiamo ai lettori un breve intervento del Presidente Sandro Pertini, intervistato sulla libertà di espressione. Nel video, il compianto capo dello Stato definisce il fascismo come “l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui“. Parole preziose da custodire e praticare per arginare l’intolleranza e la violenza che, troppo spesso, emergono prepotentemente nella nostra epoca.

Video YouTube @cittanet

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MIGUEL BOSÈ & COMPAGNO + 4 GEMELLI + 2 UTERI IN AFFITTO @ La pillola politica di Mava Fankù

L’orribile narrazione di un caso limite riguardante il celebre cantante spagnolo che, con il suo compagno, commissiona due coppie di gemelli a due donne con la pratica dell’utero in affitto, sta facendo il giro del web scatenando prevedibili reazioni.

E non ci si limita a questo, ma dopo sette anni la coppia decide di separarsi dividendosi i quattro gemelli, due con uno e due con l’altro, in città, Stati e Continenti diversi, separandoli e stradicandoli dal loro ambiente.

Di recente ”La Corte Suprema spagnola ha dato ragione all’artista nella causa aperta da Ignacio Palau (il compagno, ndr) che chiedeva di riconoscere ad entrambi la parternità di tutti i figli di cui due avuti dall’artista e due dal suo ex” da due donne con gravidanze surrogate.

https://www.google.com/amp/s/www.repubblica.it/spettacoli/people/2023/05/18/news/miguel_bose_vince_la_causa_contro_lex_compagno_sui_figli-400704978/amp/

Ci sono tutti gli ingredienti per fare propaganda moralizzatrice, e per stragegia reazionaria si fa questo ed altro. Ma volendo procedere ad un’analisi oggettiva del problema, faccio un pò di digressioni.

Quante coppie etero ricchissime, viziate, egoiste, tanto quanto Miguel Bosè e compagno, in altre epoche, hanno pagato ad esempio la cameriera per dare loro un bambino, perchè uno dei due coniugi non era fertile?

E ci sono particolari di queste storie, assai più raccapriccianti, presenti in letteratura, o dalle cui sceneggiature hanno realizzato film, che vengono rimossi dal comun senso del pudore della ”gente perbene”, solo perchè le coppie di questi racconti sono regolari.

Quindi mi sorge il dubbio che l’indignazione e lo scandalo di cui sopra siano strumentali, più che per la discutibile pratica in sé dell’utero in affitto, per i soggetti in questione che rappresentano un caso estremo.

Tanto per discreditare tutte le coppie omosessuali desiderose di avere un figlio, che davanti a questo racconto non solo non si identificano, ma si dissociano nettamente, restandone danneggiate.

E sono tantissimi i casi positivi di coppie omo (e non) che sono ricorsi alla ”gestazione solidale per altri” in modo umano.

Ma chissà perchè, di questi casi, non se ne parla.

Mava Fankù

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I TAROCCHI – IL MAGO O BAGATTO

Ora che il Matto si è finalmente fermato, avviene la trasformazione. La figura che camminava immersa nei suoi pensieri con lo sguardo rivolto al cielo, ora guarda verso la nostra sinistra, dove si trova immaginariamente il Matto e mostra, disposte su un tavolo a tre gambe, le cose che portava nel fagotto.

E’ basilare osservare dove si posa lo sguardo delle figure dei Tarocchi. Se disponessimo, ad esempio, tutti gli Arcani Maggiori in fila, dallo 0 al 21, vedremmo alcuni di loro scambiarsi degli sguardi, oppure osservare oggetti che risulteranno importanti nella comprensione del linguaggio delle Carte.

Il Matto si è trasformato nel Mago o Bagatto, il Tarocco numero 1. Dal caos creativo e dal non numero – lo Zero – siamo arrivati all’inizio degli Arcani numerati. Inizio, scelta e trasformazione: sono le parole chiave di questa Lama.

Osserviamo la figura. La scena è questa: su un tavolo a tre gambe (la quarta non si vede perché è fuori figura), sono disposti degli oggetti. Si tratta dei Quattro Elementi, che saranno presenti negli Arcani Minori: un pugnale che rappresenta le Spade; un recipiente per le Coppe; delle monete, i Denari; la bacchetta nella mano sinistra, la mano ricettiva, ossia l’Aria. Con gli oggetti sul tavolo e la bacchetta, che rappresenta la capacità di manipolare l’energia, il Mago crea e trasforma.

Niente è lasciato al caso nella sua rappresentazione: il cappello a forma di infinito rappresenta anch’esso il fluire della materia e la sua trasformazione in infinite forme.

In alcuni mazzi, come il Rider, il Mago tiene la bacchetta nella sinistra, mentre con la destra indica il terreno. Questo, perché il flusso dell’energia può dirigersi dall’altro verso il basso, e viceversa. Dal Cielo alla Terra, e al contrario. Esistono energie terrene, come ad esempio la preghiera o la meditazione, che possono essere elevate al Cielo. Il cappello a punta dei maghi o delle streghe – e intendo strega dal latino striga e dal greco stryx, ossia uccello notturno e non adoratrice del demonio – era il simbolo dell’elevazione dell’energia, atto necessario per modificare la realtà.

Significati al diritto

Inizio, creatività, buone possibilità di iniziare qualcosa. Persona che ha fascino e capacità di attirare attenzione e fiducia su di sé. Diplomazia, abilità negli affari. Iniziato o persona con facoltà medianiche. La parola inizio è fondamentale nell’interpretazione di questa Carta.

Significati al rovescio

Truffatore, giocatore compulsivo. Non c’è inizio. Confusione. Atteggiamento negativo davanti a una situazione. Debolezza, non si riesce a camminare con le proprie gambe. In genere, si negativizzano i significati della Carta al diritto.

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LE MAROCCHINATE: LE CINQUANTA ORE E IL GENERALE JUIN

IL PROCLAMA DEL GENERALE JUIN
“Il vostro generale vi annuncia, vi promette solennemente, vi giura, sul suo onore di soldato e sulla bandiera di Francia, che si alza, per l’ultima volta, il sole sulle vostre sofferenze, sulle vostre privazioni, sulla vostra fame. Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra larga… ricca di donne, di vino, di case. Se voi riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per cinquanta ore. E potrete avere tutto, prendere tutto, distruggere o portare via, se avrete vinto, se ve lo sarete meritato”.


Questo discorso, attribuito al Generale Alphonse Juen, al quale il generale Clark, a capo della V Armata americana, si era affidato per sfondare la linea Gustav, sembra fosse stato declamato ai goumiers alla stregua di un patto, che accordava loro il diritto di preda e saccheggio sulle terre che avrebbero liberato dai nazisti. Juin, in quanto pied-noir, godeva della stima e della fiducia dei goumiers, che aderirono con entusiasmo alla sua chiamata alle armi. Pied-noir è l’appellativo francese con il quale vengono indicati i figli di genitori francesi nati in nord Africa, o più in generale, i coloni francesi che vi vivevano prima della concessione dell’indipendenza alle colonie.
Il carattere sistematico delle violenze e la sostanziale acquiescenza degli ufficiali francesi che erano al comando dei goumiers conferma che essi ubbidivano a disposizioni superiori e che pertanto la responsabilità storica di questi fatti non è riconducibile unicamente a chi li ha fisicamente perpetrati.

Ascolta il proclama del generale Juin letto da Alessio Papalini

Documenti relativi al proclama del generale Juin (segnalazione di Marcello Remia)

“Bambina mia, nun pensà ca io so sempre stata accussì vecchia. So stata pure na bella giovana, tenevo gli capigli niri niri e nu petto che nun te dico, l’uommene me se giravano arrete pè guardà… ma me sa che tu nun capisci stu dialettu, n’e’ vè? Ora che ti guardo meglio assomigli tutta a nonneta. Gl’uocchi, gli capigli rusci, e la forza, la forza sua sta dentro di te. Quando sono nata io lei teneva quattordici anni, poi semmo cresciute assieme. Lei se sposette e io pure, all’epoca nostra era così, nun se scappava. Della scola m’arricuordo poco, ho fatto fino alla terza elementare e poi chiù niente, se doveva lavorà la terra e governà le bestie, poi te maritavi e tanti saluti. La casa, gli figli, lu marito pranzo cena e colazione. Bambina mia, mica era comma adess, nun se scappeva.
E dopp arrivette la guerra.
La fame ce steva, ma finchè se puteva coltivà avevamo tutto; facevo lo pane, avevamo le gagline pe l’ova, insomma se campava. Maritem se n’era ito alla guerra e io teneva già du figli da guardà.
A ventiquattr’anno i nun pensava proprio che a dà da magnà alle criature, non era comme a mò che c’avite tutto; a maggio del 44 se spasette la voce che l’alleati stevano arrivanno, e nui ce credimm, nun se poteva fa altro che crederece.

Gli alleati… ah bambina mia. Gli alleati arrivetter co le veste longhe e gli recchini agliu naso e alle recchie. Gli alleati acchiappetter le femmene e le pigliarono, vecchie giovani mezzane, tutte tutte quante. Accisero le bestie e s’arrobbarono la robba e lo corredo dentro alle case.
Appicciarono gli fuoco alle case, e si tu pruvivi a ribellarte, allora erano mazzate, tante mazzate da lasciarte muort’n terra. Nun venivano da soli, stavano in sette, otto, dieci e più. Le cavallette parevano. Le cavallette.
T’aggia guardata mentre magnivi co nui, oggi. Aggia sentito lu mestiere che fai, e quand t’aggia vista me so detta ecco Idarella, co gli uocch virdi e gli capigli rusci, ma nun era Idarella, eri tu. Me si fatta morì quanno t’aggia vista, pe lo ricordo dell’amica mia, perchè a lei aggia voluto bene come a na sorella, perchè dopp tutto è venuta Idarella da me. Doppo che gli marucchin pruvetter a prenneme, ma nun ce riusceren, pecchè m’arribbellai e allora m’acciser de mazzate.
Bambina mia vieni qua. Te facciu vedè na cosa. Me la so tenuta pe settant’anni. La tengo dentro a nu fazzoletto, a lo primo cassetto de lo commò, nascuosto bene.
Lui m’accidett de mazzate, lu marucchino, ma io gliu recchino dalla recchia ce lo strappai. Eccolo.
Pigliatell, adesso i me so’ liberata da sto male”.
Ho conosciuto Rosa per caso, a seguito di una serie di coincidenze incredibili. Questa bellissima signora di novantacinque anni mi ha voluto raccontare la sua storia in maniera spontanea, senza che io le ponessi alcuna domanda. Sicuramente la sua amicizia con mia nonna (Idarella), e la
mia somiglianza fisica con lei, hanno facilitato il dialogo creando un clima di fiducia reciproca. Ho voluto trascrivere la sua testimonianza integralmente, conservando il dialetto
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STEFANIA CATALLO

Stefania Catallo, romana e fondatrice del centro antiviolenza Marie Anne Erize. Si occupa di storia orale e di diritti delle donne. Giornalista e scrittrice, ha pubblicato diversi libri, l'ultimo dei quali "Evviva, Marie Anne è viva!" (2018, Universitalia), ha ricevuto il Premio Orsello nella sezione Società.

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Ho sperimentato il palco cimentandomi in progetti di Teatro Sociale tra il 2012 e il 2015 con testi sulla Shoa, sul femminicidio, sulla guerra. Il mio percorso teatrale è poi proseguito in autonomia quando ho sentito il desiderio di portare in scena testi scritti proprio da me.Tutti i miei scritti per scelta hanno come punto comune una ironia sana e leggera che aiuta il pubblico a riflettere sull'argomento proposto.

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