8 June 2023

Stefania Catallo

“A CORPO VIVO”: LE NUOVE POESIE E LE BELLE CONVERSAZIONI SULL’AMORE CON ANNA SEGRE

Anna Segre ne ha fatta un’altra. Una nuova, bellissima raccolta di poesie d’amore intitolata “A corpo vivo”. Come lei stessa lo ha definito si tratta del frutto della sua rinascita. Abbiamo incontrato l’autrice che è anche medica, psicoterapeuta e tanto altro, per parlare d’amore e di poesia. Per chi volesse, la prossima presentazione sarà a Roma venerdì 16 giugno alla 18.30 , Polo Museale dei Trasporti in via B. Bossi, 9 organizzata dall’associazione TrAmBuSto Letterario. Con la poeta sarà presente anche l’attrice teatrale Giuditta Cambieri.

Anna Segre, sulla copertina del suo ultimo libro di poesie “A corpo vivo”, lei ha scritto: “C’è qualcosa di più rischioso che amare davvero qualcuno?”. Cos’è l’amore per lei?

“Amore, parola riassuntiva e depistante, è la risorsa delle risorse. Non c’è che l’amore per cui si compete, si vuol essere migliori, ricchi, bravi, riconosciuti. Tutto confluisce lì, al voler essere amati, a ciò che si crede serva per essere amati (essere belli, magri, colti o con le armi più forti o coi migliori cromosomi o con la giusta collocazione sociale).

Amore, estrema necessità per l’essere umano, che può sublimarla, appunto, in ciò che crede serva per averlo, un corpo perfetto, un grande potere, un orologio di marca, è, appunto,

terribile poiché ineludibile.

Terribile poiché non protocollabile.

Terribile, per la terza volta, poiché la grande forza di chi ama non è irreggimentabile, sfruttabile, anche se le religioni e i governi ci provano riempiendo di motivazioni atte ai loro scopi (ordine sociale, guerra, riproduzione) la parola amore. E lui travalica religioni e governi trasgredendo e scavalcando i recinti, trovando una parziale rappresentazione nella musica, nella poesia, nella letteratura e nella spiritualità.

L’amore, mi viene da dire, è un dio che guida i nostri legami, che dà scopo alla nostra esistenza, che ci mette in relazione gli uni con gli altri e crea coesione, collaborazione, empatia, anche collettive.

Chi ama ne è posseduto, poiché non può né comandarsi di amare né imporsi di smettere.

La psichiatria non può chiudere l’innamoramento e l’amore in definizioni neurotrasmettitoriali esaustive che tutto spieghino, né dare una definizione dello scopo specifico dell’amore, come invece si può fare per le emozioni in genere. Ogni emozione copre uno scopo relazionale con l’ambiente.

La rabbia: sto subendo un’ingiustizia, stanno calpestando un mio diritto.

La paura: sta per succedere qualcosa di terribile. E’ certo che soffrirò moltissimo.

L’ansia: sono in attesa di qualcosa che potrebbe essere sia negativo che positivo. E se fosse negativo? Che farò?

E così via.

Con l’amore questo non è possibile, poiché per ciascuno amore corrisponde a qualcosa di diverso.

E si badi bene: non sappiamo in che modo ognuno crei questo suo dio possedente, possiamo a volte ricostruirne alcune parti, l’infanzia, i traumi, la personalità, ma mai l’intero perché del tuo innamoramento e amore.

Amare, dunque, significa, secondo me, avvicinarsi al nutrimento fondamentale e al contempo sapere che si potrebbe non averlo più per i più disparati (e fuori dal nostro controllo, come l’amore!) motivi:

cause di forza maggiore,

malattie,

morte,

famiglie avverse,

guerre,

proiettili vaganti,

il muro di Berlino,

un terremoto,

e la fine del sentimento stesso da parte della persona amata.

Amare è rischiare.

Non amare, per me, può accedere a un’assenza di senso, insomma, al costrutto di base della depressione”.

Anna Segre e Giuditta Cambieri

“A corpo vivo”. Dopo la “Distruzione dell’amore” questo titolo sembra alludere quasi a una resurrezione. E’ così?

“Sì. E’ stato come rinascere, accorgermi di amare di nuovo, dopo tanti anni. Ero come spenta, tranquilla e grigia, sempre più evanescente. E poi mi sono innamorata e, paf, ero di nuovo a tre dimensioni. E mi sono messa a scrivere le poesie per lei, per corteggiarla, per raccontarla, per ipotizzarci, fantasticarci noi, insieme, per creare linguaggio coniugato alla prima persona plurale”.

La copertina del libro di poesie di Anna Segre

Quanto ha amato, Anna Segre?

“Questo libro è il frutto della rinascita. Ho amato tanto. Sempre pensando, nel mio fondamentalismo divino, che fosse l’unica persona possibile. E’ stato come seminare, coltivare, aspettare, bestemmiare e raccogliere i frutti. E ci sono stati ogni volta, i frutti. Nel mio caso, con le mie amori, ci siamo sempre perdonate la fine della relazione inaugurando nuove stagioni di frequentazioni e progetti diversi da quello originario. No, non erano, ognuna, l’unica possibile. Però posso giurare di averlo creduto con ogni mia cellula, quando gliel’ho detto. Mi ricordo perché ti ho amata, non ho bisogno di infangare la tua memoria per lasciarti, anche quando non ti amo più. E mi ricordo perché è finita, me lo tatuo dentro, il perché della fine. Ma potrebbe essere la fine di un periodo neurotrasmettitoriale, di una curva chimica che flette in due/quattro anni e ti lascia senza più voglia di quella persona. Come la fine di una stagione”.

Quanto ha odiato l’amore, Anna Segre?

“Bestemmiando, appunto. Ho odiato (ammetto di saper odiare) l’amore come si odia qualcosa di irrinunciabile. Lui, come dio, se ne fotte di me, io invece non posso vivere bene senza di lui”.

E’ innamorata?

“Sono innamorata pazza, sì. E questo libro parla del desiderio. E’ la storia di questo desiderio, com’è nato e come si è sviluppato. Non vi dico la fine, sarebbe spoilerare!”.

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IL FEMMINICIDIO DI GIULIA TRAMONTANO. QUANDO LE PAROLE NON BASTANO

Ripercorriamo le fasi del femminicidio di Giulia Tramontano, barbaramente uccisa dal compagno perché aveva smontato il suo castello di bugie, omissioni e tradimenti. Narreremo solo i fatti, lasciando le conclusioni ai lettori, perché di questo ennesimo delitto ai danni delle donne si è detto troppo e, a volte, in modo impreciso.

In foto: Giulia Tramontano. Immagini web

Dopo che Alessandro Impagnatiello è stato arrestato per il femminicidio di Giulia Tramontano, senza che peraltro abbia chiesto pubblicamente scusa alla famiglia della vittima; dopo la dichiarazione del suo avvocato, secondo la quale: “l’unica forma di pentimento che lui (Impagnatiello, ndr) ritiene abbia un senso in questo momento è quella eventualmente di togliersi la vita“, facendo così nascere il legittimo dubbio che questa presunta volontà suicida possa ridurre la severità della detenzione facendola diventare domiciliare oppure da scontare in una struttura psichiatrica; dopo che la madre del femminicida ha accettato di rilasciare un’intervista per RAI1, nella quale tra le lacrime, ha chiesto scusa di avere dato la vita a un mostro, perché la colpa non è del femminicida, ovviamente, ma della madre; a questo punto mi pare chiaro che ci sia qualcosa che non torna. Ma occupiamoci dei fatti, e non delle supposizioni.

GIULIA TRAMONTANO E TIAGO, LE VITTIME

Giulia Tramontano, immagini web

Giulia Tramontano, quando è stata ammazzata, era incinta di sette mesi di Tiago, il maschietto che avrebbe visto la luce in estate. La sua relazione con Alessandro Impagniatiello non è semplice, ma burrascosa e minata dai sospetti di tradimento, tanto che secondo Chiara Tramontano, sorella di Giulia, sembra che scoperta la gravidanza, la donna avesse pensato di ricorrere all’aborto, tornando poi indietro sulla sua decisione. Un giorno, sembrerebbe già da gennaio, scopre senza ombra di dubbio che Impagnatiello la tradisce, ma nonostante questo decide di non interrompere la relazione.

https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/giulia-tramontano-tradimento-omicidio-ueo8io59

Si mette allora sulle tracce dell’altra donna e la trova: è una collega di lui. Anche questa ragazza è rimasta incinta di Impagnatiello, ma ha deciso di abortire. Simpatizzano e si confidano, restando in contatto. Probabilmente messo spalle al muro durante un confronto con le prove del tradimento davanti, Impagnatiello uccide Giulia con diverse coltellate, tentando di bruciarne il cadavere nella vasca da bagno; poi, viste le difficoltà, prima lo porta in un box di famiglia, dove prova una seconda volta a dargli fuoco, e poi lo carica nel bagagliaio dell’auto e lo trasporta fino all’intercapedine di via Monte Rosa a Senago in provincia di Milano, dove il cadavere della giovane donna è stato ritrovato. Nel frattempo, col corpo di Giulia in macchina, si reca dall’ex amante per dirle che la compagna se ne è andata via, lo ha lasciato, e che ora è un uomo libero e possono ricominciare da capo. La giovane non ci crede e non lo fa salire a casa sua. Poteva essere compiuto un secondo femminicidio? Non si sa. Forse.

L’ALTRA DONNA

L’altra donna, della quale non si conosce il nome, è una ragazza poco più che ventenne, anche lei impiegata nell’Armani Bamboo Bar di Milano, come il femminicida. Ignara di Giulia, la ragazza inizia una relazione con Impagnatiello e ne rimane incinta. Non vuole portare avanti la gravidanza, così lo comunica al compagno, che si mostra d’accordo. Abortisce. Quando Giulia Tramontano la contatta e le rivela di essere incinta a sua volta, affronta Impagniatiello che, magicamente, tira fuori dal cilindro un falso test del DNA che lo esclude come padre di Tiago, accusando inoltre Giulia di avere problemi mentali. Lei però non gli crede e decide di lasciarlo.

ALESSANDRO IMPAGNIATIELLO, FEMMINICIDA

Alessandro Impagniatiello ripreso da una telecamera mentre esce da casa. Immagine web

Le foto lo ritraggono con la faccia pulita e un bel sorriso, forse le armi che ha sempre adoperato per circuire quelle donne che sono cadute nella sua rete. Padre di un bimbo di circa sette anni, mentre sono in corso le ricerche di Giulia, chiama la ex compagna e chiede di poter vedere il bambino: “Voglio stare con lui”. Anche la donna ha dovuto affrontare lo stesso passato fatto di tradimenti e bugie riuscendo però a intrattenere rapporti civili con Impagniatiello. Ma stavolta cambia atteggiamento, lo vede strano e gli nega l’autorizzazione a vedere il piccolo. 

“L’HO UCCISA PER NON FARLA SOFFRIRE”

Impagniatiello ha ucciso Giulia a coltellate sabato 27 maggio tentando poi di sviare i sospetti e continuando a inviare messaggi dal cellulare della donna alle amiche e ai familiari che tentavano invano di comunicare con lei, rassicurandoli. Impagniatiello ha viaggiato col cadavere nel bagagliaio per tre giorni, fino a quando lo ha abbandonato nell’intercapedine tra due box, poco lontano da casa. Narciso o pazzo, non sta a noi deciderlo. Quello che è certo è che ha ucciso barbaramente Giulia perché lei aveva scoperto il suo castello di bugie. Non è un vero padre, tuttavia ha avuto tre figli da tre donne diverse, delle quali una ha abortito e l’altra ha visto morire il feto che portava in grembo a seguito delle coltellate subite. Non chiamiamolo pazzo, bensì col suo vero nome: femminicida. “Mentre veniva verso la sala con il coltello che stava usando per i pomodori, ha iniziato a procurarsi dei tagli sulle braccia (…) mi diceva che non voleva più vivere (…) si era già inferta qualche colpo all’altezza del collo e io arrivato vicino a lei, per non farla soffrire le ho inferto anche io tre o quattro colpi all’altezza del collo”. Così, come si legge nel decreto di fermo dei pm di Milano.

IL PARERE DELLA CRIMINOLOGA

La criminologa Roberta Bruzzone propende per la premeditazione, mentre il GIP la esclude per motivi tecnici. Tuttavia, sembra che sul pc del giovane siano state trovate tracce di ricerche in merito a come disfarsi di un cadavere dandogli fuoco. Il video che segue, tratto dal canale YouTube di Bruzzone, è interessantissimo per la sua attenta analisi dei fatti.

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VIDEOSABATO PRIDE MONTH: “VENERE È UN RAGAZZO” IL CORTO CULT LGBTQ+ DI GIUSEPPE SCIARRA

Foto di copertina @Antonella De Angelis

Pluripremiato – dal Nice Iff per la miglior sceneggiatura al premio miglior regia per il magazine di culto Cinefact – il corto di Sciarra è diventato un cult LGBTQ+. In occasione del mese del Pride ne proponiamo ai nostri lettori la versione integrale. Buona visione!

Venere è un ragazzo parla della difficoltà di amarsi e di conseguenza della domanda che attanaglia molte persone della nostra epoca: come farsi amare in una società dove si cerca se stessi nella propria immagine e non interiormente? I protagonisti sanno che devono essere belli per essere qualcuno e per essere qualcosa per le altre persone, e ciò li porta all’accanimento sui propri corpi, a voler esteriorizzare le proprie emozioni scolpendo gli addominali o ricorrendo maniacalmente al botox. Il corto è anche un lavoro filmico che sovverte gli stereotipi sulla figura dei crossdresser e che parla di fluidità in maniera schietta, ma anche di prostituzione in modo inconsueto, visto che il protagonista non si limita a dare piacere alla sue cliente, ma anche affetto. Un affetto che la madre non è riuscita a dargli pienamente quando lui ne aveva più bisogno. Venere è un ragazzo è sicuramente tante cose, va rivisto e rivisto perché a ogni visione in soli 15 minuti riesce a dare tanti input allo spettatore. La scena finale con il brano cul, “Two men in love” della band britannica The Irrepressibles mette in scena in un gay Village fatto di piani stretti, l’amore ma anche l’amarezza di una pista da ballo dove si cerca o almeno si prova a essere felici e liberi prima di ritornare alla solitudine della realtà quotidiana”. Giuseppe Sciarra, regista e autore del corto “Venere è un ragazzo”.

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I TAROCCHI – IL MAGO O BAGATTO

Ora che il Matto si è finalmente fermato, avviene la trasformazione. La figura che camminava immersa nei suoi pensieri con lo sguardo rivolto al cielo, ora guarda verso la nostra sinistra, dove si trova immaginariamente il Matto e mostra, disposte su un tavolo a tre gambe, le cose che portava nel fagotto.

E’ basilare osservare dove si posa lo sguardo delle figure dei Tarocchi. Se disponessimo, ad esempio, tutti gli Arcani Maggiori in fila, dallo 0 al 21, vedremmo alcuni di loro scambiarsi degli sguardi, oppure osservare oggetti che risulteranno importanti nella comprensione del linguaggio delle Carte.

Il Matto si è trasformato nel Mago o Bagatto, il Tarocco numero 1. Dal caos creativo e dal non numero – lo Zero – siamo arrivati all’inizio degli Arcani numerati. Inizio, scelta e trasformazione: sono le parole chiave di questa Lama.

Osserviamo la figura. La scena è questa: su un tavolo a tre gambe (la quarta non si vede perché è fuori figura), sono disposti degli oggetti. Si tratta dei Quattro Elementi, che saranno presenti negli Arcani Minori: un pugnale che rappresenta le Spade; un recipiente per le Coppe; delle monete, i Denari; la bacchetta nella mano sinistra, la mano ricettiva, ossia l’Aria. Con gli oggetti sul tavolo e la bacchetta, che rappresenta la capacità di manipolare l’energia, il Mago crea e trasforma.

Niente è lasciato al caso nella sua rappresentazione: il cappello a forma di infinito rappresenta anch’esso il fluire della materia e la sua trasformazione in infinite forme.

In alcuni mazzi, come il Rider, il Mago tiene la bacchetta nella sinistra, mentre con la destra indica il terreno. Questo, perché il flusso dell’energia può dirigersi dall’altro verso il basso, e viceversa. Dal Cielo alla Terra, e al contrario. Esistono energie terrene, come ad esempio la preghiera o la meditazione, che possono essere elevate al Cielo. Il cappello a punta dei maghi o delle streghe – e intendo strega dal latino striga e dal greco stryx, ossia uccello notturno e non adoratrice del demonio – era il simbolo dell’elevazione dell’energia, atto necessario per modificare la realtà.

Significati al diritto

Inizio, creatività, buone possibilità di iniziare qualcosa. Persona che ha fascino e capacità di attirare attenzione e fiducia su di sé. Diplomazia, abilità negli affari. Iniziato o persona con facoltà medianiche. La parola inizio è fondamentale nell’interpretazione di questa Carta.

Significati al rovescio

Truffatore, giocatore compulsivo. Non c’è inizio. Confusione. Atteggiamento negativo davanti a una situazione. Debolezza, non si riesce a camminare con le proprie gambe. In genere, si negativizzano i significati della Carta al diritto.

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LE MAROCCHINATE: LE CINQUANTA ORE E IL GENERALE JUIN

IL PROCLAMA DEL GENERALE JUIN
“Il vostro generale vi annuncia, vi promette solennemente, vi giura, sul suo onore di soldato e sulla bandiera di Francia, che si alza, per l’ultima volta, il sole sulle vostre sofferenze, sulle vostre privazioni, sulla vostra fame. Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra larga… ricca di donne, di vino, di case. Se voi riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per cinquanta ore. E potrete avere tutto, prendere tutto, distruggere o portare via, se avrete vinto, se ve lo sarete meritato”.


Questo discorso, attribuito al Generale Alphonse Juen, al quale il generale Clark, a capo della V Armata americana, si era affidato per sfondare la linea Gustav, sembra fosse stato declamato ai goumiers alla stregua di un patto, che accordava loro il diritto di preda e saccheggio sulle terre che avrebbero liberato dai nazisti. Juin, in quanto pied-noir, godeva della stima e della fiducia dei goumiers, che aderirono con entusiasmo alla sua chiamata alle armi. Pied-noir è l’appellativo francese con il quale vengono indicati i figli di genitori francesi nati in nord Africa, o più in generale, i coloni francesi che vi vivevano prima della concessione dell’indipendenza alle colonie.
Il carattere sistematico delle violenze e la sostanziale acquiescenza degli ufficiali francesi che erano al comando dei goumiers conferma che essi ubbidivano a disposizioni superiori e che pertanto la responsabilità storica di questi fatti non è riconducibile unicamente a chi li ha fisicamente perpetrati.

Ascolta il proclama del generale Juin letto da Alessio Papalini

Documenti relativi al proclama del generale Juin (segnalazione di Marcello Remia)

“Bambina mia, nun pensà ca io so sempre stata accussì vecchia. So stata pure na bella giovana, tenevo gli capigli niri niri e nu petto che nun te dico, l’uommene me se giravano arrete pè guardà… ma me sa che tu nun capisci stu dialettu, n’e’ vè? Ora che ti guardo meglio assomigli tutta a nonneta. Gl’uocchi, gli capigli rusci, e la forza, la forza sua sta dentro di te. Quando sono nata io lei teneva quattordici anni, poi semmo cresciute assieme. Lei se sposette e io pure, all’epoca nostra era così, nun se scappava. Della scola m’arricuordo poco, ho fatto fino alla terza elementare e poi chiù niente, se doveva lavorà la terra e governà le bestie, poi te maritavi e tanti saluti. La casa, gli figli, lu marito pranzo cena e colazione. Bambina mia, mica era comma adess, nun se scappeva.
E dopp arrivette la guerra.
La fame ce steva, ma finchè se puteva coltivà avevamo tutto; facevo lo pane, avevamo le gagline pe l’ova, insomma se campava. Maritem se n’era ito alla guerra e io teneva già du figli da guardà.
A ventiquattr’anno i nun pensava proprio che a dà da magnà alle criature, non era comme a mò che c’avite tutto; a maggio del 44 se spasette la voce che l’alleati stevano arrivanno, e nui ce credimm, nun se poteva fa altro che crederece.

Gli alleati… ah bambina mia. Gli alleati arrivetter co le veste longhe e gli recchini agliu naso e alle recchie. Gli alleati acchiappetter le femmene e le pigliarono, vecchie giovani mezzane, tutte tutte quante. Accisero le bestie e s’arrobbarono la robba e lo corredo dentro alle case.
Appicciarono gli fuoco alle case, e si tu pruvivi a ribellarte, allora erano mazzate, tante mazzate da lasciarte muort’n terra. Nun venivano da soli, stavano in sette, otto, dieci e più. Le cavallette parevano. Le cavallette.
T’aggia guardata mentre magnivi co nui, oggi. Aggia sentito lu mestiere che fai, e quand t’aggia vista me so detta ecco Idarella, co gli uocch virdi e gli capigli rusci, ma nun era Idarella, eri tu. Me si fatta morì quanno t’aggia vista, pe lo ricordo dell’amica mia, perchè a lei aggia voluto bene come a na sorella, perchè dopp tutto è venuta Idarella da me. Doppo che gli marucchin pruvetter a prenneme, ma nun ce riusceren, pecchè m’arribbellai e allora m’acciser de mazzate.
Bambina mia vieni qua. Te facciu vedè na cosa. Me la so tenuta pe settant’anni. La tengo dentro a nu fazzoletto, a lo primo cassetto de lo commò, nascuosto bene.
Lui m’accidett de mazzate, lu marucchino, ma io gliu recchino dalla recchia ce lo strappai. Eccolo.
Pigliatell, adesso i me so’ liberata da sto male”.
Ho conosciuto Rosa per caso, a seguito di una serie di coincidenze incredibili. Questa bellissima signora di novantacinque anni mi ha voluto raccontare la sua storia in maniera spontanea, senza che io le ponessi alcuna domanda. Sicuramente la sua amicizia con mia nonna (Idarella), e la
mia somiglianza fisica con lei, hanno facilitato il dialogo creando un clima di fiducia reciproca. Ho voluto trascrivere la sua testimonianza integralmente, conservando il dialetto
.

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LE MAROCCHINATE: FRANCESCA. IL LIBRO A PUNTATE IN ESCLUSIVA

“Conta, Francesca, conta e non ti fermare: uno, due, tre, quattro, cinque…
Mentre conto sento il rumore delle pietre; mi fermo a guardarne il colore, quasi bianco con delle venature scure, e mi obbligo a non pensare che mia madre mi sta murando viva.
La guardo che ammucchia le pietre in file ordinate, mentre io resto immobile nella nicchia della cucina, quella che usiamo per riporci il pane e le poche cose da mangiare che ancora abbiamo, e che la mamma ha svuotato e dove ora ci sono io, in piedi, con la gonna legata alle gambe e un fazzoletto stretto sulla bocca per non respirare tutta questa polvere e per impedirmi di parlare; una sicurezza in più, per non essere scoperta da loro, che stanno arrivando qui e che potrebbero sentirmi.
Mamma canta piano, una canzone dedicata alla Madonna e intanto tira su il suo muro a secco. Non mi guarda nemmeno, ma la vedo piangere e asciugarsi le lacrime col dorso della mano, senza rallentare il ritmo o perdersi minimamente d’animo. Le pietre sono talmente tante che ora mi arrivano al petto, e man mano che il livello aumenta, mi sembra di soffocare, come se venissi schiacciata dal loro peso.
Per completare il lavoro, mamma prende una sedia, ci sale sopra e continua ad ammucchiare sassi: bisogna arrivare fino al soffitto. Nessuno dovrà accorgersi che questo è un muro finto e che dietro ci sono io. Solo adesso mi guarda senza dire una parola, e nei suoi begli occhi scuri ci vedo amore, paura, ma anche sfida. Poi, il buio. Devo abituare i miei occhi a questa oscurità, comandare al mio cuore di rallentare i battiti, dominare il terrore di soffocare chiusa qui, dietro questo muro di pietre.
Sento un rumore di cose trascinate, e capisco che mamma ha spostato le sedie e il tavolo verso il mio nascondiglio, e che ci sta appoggiando sopra delle trecce d’aglio e di cipolle, come se si trattasse di una parete normale, perché ne sento l’odore familiare e penetrante.
Tra una pietra e l’altra percepisco il chiarore della cucina, ma non riesco a vedere molto perché lo spazio tra di esse è stretto. Sento caldo e il sudore inizia a scendermi in rivoli dalla fronte e dalle gambe”.


“I rumori arrivano attutiti qui dietro, ma sento voci lontane e grida e spari. Sto tremando di paura, mi battono i denti dal terrore, ma devo restare vigile e immobile; se dovessi svenire cadrei in avanti facendo crollare il muro e verrei scoperta. Vorrei tanto che mamma mi avesse anche tappato le orecchie, perché quello che sento adesso è il suono dell’orrore, un rumore di corpi trascinati, di stoffa strappata, la voce di mamma che prega ad alta voce e in risposta parole incomprensibili e gemiti di sforzo, come una oscena litania in onore del signore della morte.
Non so quanto tempo sia passato, mi accorgo solo ora del sangue che mi macchia il davanti del vestito, e che mi cola dalla bocca perché nell’ora del terrore mi sono morsa le labbra, e della pozza di piscio che la terra battuta della nicchia assorbe in fretta, il segno della mia paura. Deve essere sera, perché dalle pietre non filtra nessuna luce, mentre rimango in attesa di qualcuno che venga a liberarmi dalla mia prigione.
Dalla cucina non arriva alcun suono, o forse sì; se smetto di respirare posso sentire qualcosa che assomiglia a un lamento, ma ancora troppo debole perché io possa capirne le parole. Un rumore improvviso mi fa sobbalzare: è una sedia che cade, e la voce di mamma che adesso parla e mi dice che tra poco potrò uscire, deve solo rimettere a posto un po’ la cucina e controllare che loro se ne siano andati via.
La sua voce mi fa compagnia mentre canta una ninna nanna di quando ero bambina, che mi fa chiudere gli occhi e ricordare i pomeriggi della mia infanzia, quando correvo in un campo sterminato di girasoli con le braccia aperte ad accarezzare gli steli lunghi e vellutati di quei fiori più alti di me. Sento un rumore di acqua e capisco che mamma si sta lavando.
Poi si sente entrare qualcuno, dalla voce riconosco Rosina, la signora che abita di fronte, che singhiozza disperata e poi all’improvviso tace, come se qualcuno le avesse detto di stare zitta, per pietà, che Francesca adesso non deve sentire, ci sarà tempo e voglio essere io che sono sua madre a dirglielo.
Mamma ha acceso una candela in cucina, la sua fiamma illumina debolmente la mia prigione. Ora mi parla, mi sta dicendo che tra un momento inizierà a togliere le pietre. Non ti impressionare quando mi vedrai, mi dice, ho qualche livido, ma niente di rotto, ma tempo qualche giorno e passerà tutto quanto e saremo quelle di prima. Comincio a vedere il chiarore che entra dall’alto, e ricomincio a contare: uno, due, tre, quattro, cinque.
La prima fila viene giù, poi la seconda e la terza. Respiro rumorosamente mentre mi strappo il fazzoletto dalla bocca e chiamo mamma, anche se la voce non vuole arrivare subito, ed eccola mamma è qui davanti a me che mi guarda con gli stessi occhi di sempre, anche se uno è quasi chiuso per quanto è gonfio. Ha la faccia piena di graffi e lividi e dei segni sul collo come se qualcuno avesse tentato di strozzarla. Ha messo un vestito diverso da quello di stamattina, questo è a fiori rossi e neri e profuma di sapone. Vedo che ha un ginocchio e un piede fasciati, ma sorride e canta, canta anche se ha le labbra spaccate, ma non ha importanza.
Poi prende un coltello e taglia la corda che mi teneva ferma la gonna. Mi appoggio alla sua spalla per scendere dalla nicchia, facendo attenzione a non mettere i piedi sui sassi. Tremiamo entrambe, vorrei chiederle cosa è successo, ma ci sarà tempo, me lo dirà lei se lo vorrà. Ci abbracciamo.
Mamma mi porge un bicchiere di acqua fredda che prendo con mani incerte. Poi ci sediamo a terra, io mi sdraio sul pavimento e appoggio la testa sul suo grembo mentre lei canta ancora, canta piano una canzone di vittoria dalle parole sconosciute e ci addormentiamo così, tra le pietre del muro che mi ha salvata dai marocchini”.


Durante l’avanzata dei goumiers, e a seguito delle voci degli stupri perpetrati su donne e bambine, le popolazioni elaborarono strategie difensive affinché esse non venissero individuate e catturate. Si adoperarono come rifugio le grotte naturali, sia in superficie che sotterranee; e nei casi più estremi qualsiasi nicchia abbastanza capiente fosse presente in casa, murandola con l’uso di pietre a secco e mimetizzandola in modo che sembrasse una parete normale.

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VIDEOSABATO TEATRALE: MENOPAUSA NON TI TEMO CON “DOSAGGIO ORMONALE” DI GIUDITTA CAMBIERI

Temutissima o lungamente attesa, la menopausa e i suoi effetti sono al centro di “Dosaggio ormonale”, la stand up comedy che Giuditta Cambieri che sta portando nei teatri italiani. Se fino a qualche decennio fa – e neanche tanti – la menopausa era tabù e considerata inoltre la pietra tombale alla vita sessuale o al potere seduttivo della donna, ora vivaddio se ne inizia a parlare con libertà e anche, perché no, con comicità.

Parole e canzoni s’intrecciano durante una tempesta ormonale. Verità vengono a galla. Giuditta e Lorella si ritrovano a navigare in un mare di “sudarelle” tra verità più o meno scomode  venute a galla durante quella perturbazione. Pezzi di cuore tagliuzzato, ricordi di speranze naufragate,  parole che era meglio non sentire e altre che sarebbe stato meglio dire, immagini uscite da scene di vita vissuta e di vita sopravvissuta.

L’ormone, si sa, è come un coreografo impazzito; ti fa saltellare un po’ qua e un po’ là. Così in un percorso di riflessioni drammaticamente comiche e non solo, le due si ritrovano a fare il punto  sull’ essere donne in un mondo fatto a misura di maschio. Un mondo fatto apposta per “lui”, fatto apposta come un dispetto per “lei”.

Ma non tutte le perturbazioni vengono per nuocere. Non è più tempo d’aspettare, è tempo d’imboccare la gloriosa strada della tanto temuta e agognata menopausa. ATTEMPATE ORA….RESISTENTI DA SEMPRE!

Ricordate gli attacchi di caldo in pieno gennaio delle nostre mamme o delle zie? Ecco, quelle sono le “donne col ventaglio”, l’eufemismo col quale il regista Almodovar definisce chi ha raggiunto il traguardo della menopausa. Il divertentissimo video che segue si chiama “Sudarelle”. Insieme a Giuditta Cambieri, l’attrice non udente Mally Mieli.

Un altro regalo della menopausa e del tempo che passa è la (non) tonicità. Nel clip intitolato “Ti pende”. una descrizione esilarante dei suoi effetti, con Giuditta Cambieri, Carolina Cigliola attrice-LIS udente e la musicista Lorella Pieralli.

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ALL’AMORE NON SI RESISTE OVVERO “I VOTI DELLE FANCIULLE” DIRETTO DA CLAUDIO JANKOWSKI

In copertina: foto @Francesco Bunicich

“I voti delle fanciulle” è una brillante commedia di Alexander Fredro del 1832. L’opera è divisa in cinque atti e l’argomento principale è l’amore. Abbiamo incontrato il regista teatrale Claudio Jankowski presso l’Istituto Polacco di Roma, dove mercoledì 17 maggio è andato in scena un reading molto interessante.

La commedia racconta la storia di due giovani, Aniela e Klara, che decidono di non volersi sposare e di tormentare gli uomini con la loro totale indifferenza. Albin, innamorato di Klara, viene da lei immediatamente rifiutato, così come Aniela rimane insensibile ai tentativi amorosi di Gustaw il quale non prende inizialmente sul serio il giuramento delle ragazze. Infine proprio Gustaw dà vita a un intrigo per conquistare la sua amata e per aiutare il disperato Albin. La commedia di Fredro presenta l’amore come una grande forza che sprona le persone ad agire donando loro la gioia di vivere, una vera fonte di felicità per la quale bisogna lottare; l’autore nega quindi l’idea dell’amore a prima vista, confidando però nell’esistenza delle anime gemelle e del magnetismo amoroso.

L’opera andò in scena per la prima volta bel 1833 a Lviv e fu subito un grande successo che portò lo scrittore a conquistare molti nuovi spettatori e lettori. Il cast del reading è composto da: Alessandra Annedda, Cristina Calvitti, Silvia Capizzi, Luisella Carboni, Giulio Guerrisi, Michele Renda, Paola Scotto. Al pianoforte Diego Salvagna, traduzione e adattamento di Dorota Wdowinska. Regia di Claudio Jankowski.

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GLI INCEL: DISAGIO O MISOGINIA?

“Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più”. (Matrix, dialogo tra Morpheus e Neo).

Portati all’attenzione del grande pubblico con un servizio de Le Iene, gli incel stanno facendo parlare di sè. Ma andiamo per ordine, perché per comprendere questo fenomeno e i suoi appartenenti, bisogna conoscerne la storia e l’evoluzione.

Cosa significa Incel?

La parola incel deriva dalla contrazione di involuntary celibate e che si riferisce a tutte quelle persone (prevalentemente maschi eterosessuali) che non riescono a trovare una partner poiché si definiscono poco attraenti. Il neologismo venne creato da una studentessa canadese bisessuale, attiva sul web come Alana, che nel 1997 creò un sito dedicato ai celibi involontari: “Alana’s Involuntary Celibacy Project“, utilizzando per la prima volta il termine incel. In realtà, si tratta di uomini che vivono forti difficoltà relazionali con le donne, fatto questo che li porta a evitare qualsiasi tipo di contatto con loro considerandosi perdenti in partenza, e invece a sfogarsi contro di esse in chat Telegram o su altri social, in interazioni ad alto tasso di misoginia.

Screenshot di un gruppo Telegram a tema incel

Elliot Rodger e gli altri. I terroristi sessuali. I fascismi e la donna prolifica.

IL PRINCIPIO DI TUTTO

23 maggio 2014: Isla Vista, California. Elliot Rodger, 22 anni, autodefinitosi kissless virgin, uccide sei suoi coetanei e ne ferisce più o meno gravemente altri quattordici nel corso di quello che definì il “Giorno del Castigo”, prima di togliersi la vita. Precedentemente aveva lanciato il suo manifesto intitolato “My Twisted World”. Di seguito un brano.

In un mondo ideale, la sessualità non esisterebbe. Dovrebbe essere fuorilegge. In un mondo senza sesso, l’umanità sarebbe pura e civilizzata. Gli uomini crescerebbero in salute, senza doversi preoccupare di simili atti barbarici. Tutti gli uomini crescerebbero liberi e uguali, perché nessuno sperimenterebbe i piaceri del sesso che ad altri sono negati. Per abolire completamente il sesso, le donne stesse dovrebbero essere abolite”.

Ma Rodger non si limitava solo a questo scenario, immaginando anche campi di concentramento dove le donne sarebbero state rinchiuse, per essere inseminate artificialmente al solo scopo di procreare senza nessun atto sessuale, almeno finché non si fosse scoperto un modo per fare a meno anche dei loro ovuli e dei loro uteri, con una prospettiva quasi di partenogenesi. Dopodiché, sarebbero state lasciate morire di fame.

I SEGUACI

Dopo Rodger, il 24 aprile 2018 a Toronto, Alex Minassian di 25 anni, a bordo di un furgone investe e uccide dieci giovani ferendo altre quindici persone, subito dopo aver proclamato su Facebook la sua “fedeltà” al “Supremo Gentiluomo Elliot Rodger” e aver incitato alla Ribellione degli Incel. Si tratta di squilibrati? No, in realtà sono uomini che odiano le donne, ritenute selettive in base ai soldi e alla prestanza dei maschi. Si stima che le stragi compiute dagli incel siano circa 10 solo negli Stati Uniti.

IL TEORICO

Jordan Peterson, professore di psicologia e ora youtuber, è diventato il guru di riferimento per gli incel. Da diversi anni ha iniziato a parlare di “monogamia forzata” e redistribuzione dell’energia sessuale all’interno della società. A proposito di Minassian, Peterson, che insegna all’Università di Toronto, ha infatti dichiarato: “[…] era arrabbiato con Dio perché le donne lo rifiutavano. La cura per questo male è la monogamia forzata. A dirla tutta, questa è la ragione per cui la monogamia è nata”. 

INCEL E JIHAD, UN PARALLELISMO

Simon Cottee, criminologo e esperto di terrorismo, ha ipotizzato un legame inconsapevole tra incel e jihadisti in quanto: “[…] entrambi i gruppi sarebbero ossessionati dal sesso, nei confronti del quale nutrono un rapporto complesso fatto di disgusto e attrazione […]”, e riportando anche le parole di un estremista che si sarebbe definito “vaginalmente sconfitto”. Anche Gilbert Caluja, dell’International Centre for Muslim and non-Muslim Understanding alla University of South Australia, ha analizzato il fenomeno dando vita alla teoria delle blue balls (ossia il fenomeno di vasocostrizione dei testicoli a causa della lunga mancanza di eiaculazione, ndr), che secondo Caluja spiega la grande radicalizzazione dei non occidentali con la frustrazione sessuale:

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10304312.2013.737193

INCEL E FASCISMI

Il grande problema è stato quindi il ’68: durante il fascismo italiano e il nazismo tedesco le donne avevano come compito quello di figliare e basta, cosa che sarebbe molto cara agli incel. Secondo Wilhelm Reich, autore di Psicologia di massa del fascismo (2009, Einaudi), la moglie “non può apparire come essere sessuale, ma soltanto come essere che mette al mondo i figli”. Limitare il sesso coniugale alla procreazione è allora un mezzo “per non far nascere nelle donne la coscienza sessuale, per non far esplodere la rimozione sessuale, per non far scomparire la paura e il senso di colpa sessuali: l’affermazione e il riconoscimento della donna come essere sessuale significherebbe il crollo di tutta l’ideologia autoritaria”. E’ evidente quindi come le radici di questa sottocultura siano profonde e radicate, e oggi vengano alla luce attraverso i social, nelle stanze dell’eco virtuali, nel rancore mascherato con la buona educazione.

LMS, red pill e blue pill

Nel movimento incel sono presenti alcune teorie di base. LMS ossia look, money, status. Questa sigla rappresenta quelle che, secondo la sottocultura incel, sono le caratteristiche più importanti per le donne e senza le quali non sei nessuno: aspetto, soldi e posizione sociale. Quindi, nessun riferimento ai sentimenti e all’amore o ancora, a una sana relazione affettiva. Il grande problema, secondo gli incel, è stato il 1968 e la liberazione sessuale, colpevole di aver rotto l’equilibrio che c’era in precedenza. Infatti, prima gli uomini avevano più possibilità di avere una partner perché le donne era sottoposte maggiormente ad una monogamia voluta dal maschio in cui avevano meno possibilità di scelta, al contrario di oggi dove invece sono libere di selezionare e scartare.

“Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più”.

Nel film Matrix, il protagonista scegliendo di assumere una pillola rossa (redpill), può finalmente scoprire la verità sulla realtà che lo circonda. Riportato agli incel, si tratta di una teoria molto scontata: quella di comprendere la realtà, cosa che evidentemente, fanno fatica ad agire. Niente di nuovo, quindi, ma per gli incel è stata una scoperta. Secondo una ricerca basata su studi di tipo statistico, come ad esempio l’analisi dei social, è stato osservato come su Tinder gli uomini mettano like a moltissime donne, mentre le donne solamente a una piccola parte degli uomini, essendo dunque più selettive nella scelta del partner. Questi studi sono diventati il manifesto incel, perché confermano le loro idee. Così, gli uomini che credono in questa teoria vengono definiti redpillati. La differenza tra un redpillato e un incel è che quest’ultima non è una categoria ideologica, bensì una categoria sociale. Al contrario, i bluepillati sono quelli che ancora credono nell’amore e in altre fandonie simili.

E’ evidente che il disagio di queste persone abbia bisogno di un sostegno psicologico per essere superato, perché non è possibile proiettare all’esterno la responsabilità di una vita vissuta tra le mura di una stanza, osservando e criticando una società disfunzionale, che mette al primo posto i soldi o l’apparenza, per poi valutarsi o meglio svalutarsi confrontandosi con questi stessi canoni e quindi diventando vittime del proprio risentimento. Oppure giustificare la propria difficoltà relazionale con un semplice e strumentale: le donne non mi vogliono perché sono brutto. Non é con l’odio o la misoginia che si risolvono le cose, ma con il confronto e la sana accettazione di sé. E magari pensando che non tutte abbracciano la teoria del LMS. Oppure fa più comodo piangersi addosso?

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I TAROCCHI: ARCANO XXI IL MONDO

L’ultima Carta dei Tarocchi è Il Mondo. Con essa si chiude il cerchio degli Arcani Maggiori, attraverso i quali abbiamo viaggiato lungo tutte le situazioni della vita, incontrandone i personaggi, le scene, i desideri, le paure, le speranze. Il Mondo porta il numero XXI, ma è utile sapere che Papus riteneva che la Carta dovesse portare il numero XXII, collocando al suo posto Il Matto, pensiero peraltro condiviso da Eliphas Levi. Il Mondo è rappresentato da una figura femminile al centro di un ovale di alloro, ai lati del quale troviamo i simboli dei quattro Evangelisti: l’angelo di Matteo, l’aquila di Giovanni, il toro di Luca e il leone di Marco, che quasi santificano la Carta con la loro presenza. La donna porta tra le mani due bacchette magiche, rimandando a quelle del Mago e del Carro, tramutate negli scettri dell’Imperatore e dell’Imperatrice nonché nel pastorale del Papa. Il simbolo di potere che diventa simbolo di trasmutazione della materia: anche qui, una delle simbologie dei Tarocchi passa di carta in carta. Anche la nudità della donna ricorda quella de Le Stelle. Nelle Carte Visconti Sforza il Mondo è invece rappresentato con due amorini che sorreggono una sfera nella quale è disegnata una città medievale, al contrario dei mazzi più conosciuti come quelli di Marsiglia o di Wirth.

Il Mondo @Luigi Caldararo

Il Mondo rappresenta il successo, la possibilità di realizzare tutto quello che si desidera, la fortuna, la perfezione, la riuscita assicurata (Papus), l’azione magnetica del cosmo (Eliphas Levi). E’ interessante riflettere anche su un altro significato: solo divenendo mondo (mundus) ossia puro, l’essere può raggiungere la sua meta. Il Mondo è la Carta più favorevole del mazzo.

Il Mondo, Tarocchi Visconti Sforza

Al contrario, il Mondo non negativizza il suo significato ma lo offusca quindi la riuscita non è piena, il successo non è totale, c’è qualcosa che impedisce la pienezza. Vale la pena ricordare che il Mondo rappresenta anche un luogo chiuso e familiare; anche la donna racchiusa nell’ovale ha un significato ulteriore, quello del rapporto con la femminilità. Alcuni autori hanno poi trovato un’analogia tra la raffigurazione del Mondo con quella dei genitali femminili (Jodorowski).

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STEFANIA CATALLO

Stefania Catallo, romana e fondatrice del centro antiviolenza Marie Anne Erize. Si occupa di storia orale e di diritti delle donne. Giornalista e scrittrice, ha pubblicato diversi libri, l'ultimo dei quali "Evviva, Marie Anne è viva!" (2018, Universitalia), ha ricevuto il Premio Orsello nella sezione Società.

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Emilio Spataro, in arte Emyliù, attore, chansonnier, fotografo, grafico. Di origine calabrese cirotana, vive a Roma. Opinionista e Web Master del Magazine.

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Opinionista disincantata, dotata di un notevole senso dell'umorismo e di una dialettica tagliente, Mava Fankù cura attualmente due rubriche, La Pillola Politica e I Pensierini di Mava, elzeviri su temi vari che ispirano la nostra signorina agèe, da poco anche in video, oltre che in podcast, oltre che in scrittura.

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VENIO SCOCCINI

Diplomato all'Istituto Alberghiero Michelangelo Buonarroti di Fiuggi (FR) - Dopo una lunga esperienza in Italia, e all'estero come chef per personaggi di rilievo, sia in casa che su yacht, nel 2013 si è trasferito a Londra, dove ha appreso nozioni di cucina multietnica continuando a lavorare come chef privato.

ROSELLA MUCCI

Ho sperimentato il palco cimentandomi in progetti di Teatro Sociale tra il 2012 e il 2015 con testi sulla Shoa, sul femminicidio, sulla guerra. Il mio percorso teatrale è poi proseguito in autonomia quando ho sentito il desiderio di portare in scena testi scritti proprio da me.Tutti i miei scritti per scelta hanno come punto comune una ironia sana e leggera che aiuta il pubblico a riflettere sull'argomento proposto.

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