3 Ottobre 2023

MARIASOLE MONALDI

 QUI BRIANZA OLTRE L’ARCOBALENO – “PER QUESTO, PER ALTRO, PER TUTTO!”

Giovedì 8 settembre si è tenuta la convergenza tra il tavolo lavoro degli Stati Genderali lgbtqia+ & Disability, di cui faccio parte, e il Collettivo Di Fabbrica – Lavoratori Gkn Firenze.
È stato un appuntamento importantissimo che voleva testimoniare un principio importante e fondamentale, che come comunità portiamo avanti dagli ultimi anni: del “love is love” ne abbiamo fin sopra i capelli! A noi interessa portare avanti un altro concetto, molto più importante: “lavoro is lavoro”, poiché “non facciamo i froci per mestiere”. Avere un lavoro è un diritto. Tale diritto dà poi l’accesso ad altri due importantissimi: il diritto all’abitare e il diritto alla salute.
L’ultimo caso di cronaca nera trans, quello di Cloe Bianco, ci ha spinto, con forza e determinazione, a portare avanti sempre di più questa lotta al diritto di esistere.
Eravamo una piccola delegazione: solo tre persone, di cui due uomini trans (io e Milo Serraglia) e un uomo omosessuale (Enrico Gullo).
Tra le persone relatrici della conferenza ci sono Tiziana DeBiasio, operaia in subappalto, e Mariasole Monaldi, una studentessa della rete dei collettivi universitari Studenti di Sinistra dell’Università degli studi di Firenze.
È importante che gli studenti siano stati lì accanto agli operai fin dall’inizio della protesta, perché si tratta di lottare anche per il loro futuro.
Quello che respiro in GKN è la compenetrazione: tutti sono parte di tutto.
C’è una grossa problematica che ci impaurisce da quando abbiamo dato il via a questo progetto: il linguaggio.
A volte il linguaggio crea divario. Ma è importante portare il nostro linguaggio nella lotta operaia, perché anche noi siamo operai. Ed è quindi estremamente importante che le richieste di diritti si intersechino e che vengano portate avanti con il giusto modo e le corrette parole. Nessuno però si sente di voler salire in cattedra e di fare un comizio. La decisione è quindi la più semplice: parlare di noi. Le nostre vite, i nostri trascorsi saranno il modo migliore per introdurre il giusto linguaggio e farlo capire a tutti i presenti. Anche a chi quelle parole le ha sicuramente sentite, ma nessuno si è mai degnato di spiegargliele e di fargli capire cosa significano nella vita di tutti i giorni.
Dopo l’introduzione da parte dell’operaio Mario Berardo Iacobelli, iniziano i nostri interventi.
Parte Tiziana che parla delle molestie sul lavoro subite dalle donne, il demansionamento degli uomini gay, il doppio lavoro domestico e salariato e una testimonianza personale.
La parola passa a Enrico, che tocca tanti i temi in modo incisivo e ragionato, sottolineando come tutto questo si mischia, si fonde e si confonde a nostro discapito e a vantaggio del padrone: il capitalismo che internalizza il patriarcato, la divisione di genere del lavoro, il doppio lavoro delle donne, la salarializzazione del lavoro di cura, le persone LGBTIQAPK+ come soggetto imprevisto: disciplinare e punire, il Diversity Management come “discriminazione positiva”.
Poi tocca a Milo che racconta quanto è una merda vedersi riconoscere la carriera alias solo perché la multinazionale per cui lavori come rider ha visto che fai il testimonial del Pride, continua su cosa significa essere out come persona trans, perdere il lavoro e continuare ad avere difficoltà a trovarlo. Insiste sul privilegio maschile nella divisione del lavoro di cura e nella percezione sul luogo di lavoro, sulla produttività come imperativo di performance del maschile.

A questo punto tocca a me. Panico. Cosa dico? La butto sul ridere: parlo delle parodie della mia vita. Racconto di come il pregiudizio e certi atteggiamenti si riflettano anche con la comunità LGBT+ «Il mondo dei trasporti è fatto di uomini e donne, ma chi comanda sono gli uomini. Essendo un lavoro maschile ed essendoci entrata come donna lesbica dichiarata divento “una di loro”, ma solo per poter parlare del culo delle mie colleghe e per farmi dire cose piccanti sul sesso lesbo, in modo da far sollazzare i colleghi maschi. Questa non è proprio una dimostrazione di “inclusione”». Sorridono e annuiscono, donne e uomini. So che sono cose che sanno tutti, ma quanto ci è permesso dirlo ad alta voce? Continuo sul diritto alla salute come diritto fuori e dentro al lavoro «ai dipendenti sono riconosciuti permessi per visite mediche per un massimo di 18 ore annuali, comprensive anche dei tempi di percorrenza di andata e ritorno al lavoro. Non è previsto un minimo, quindi significa che ogni azienda può decidere autonomamente quante ora di permesso concedere al proprio dipendente. Questo vuol dire anche che non c’è parità tra lavoratori, se in base all’azienda in cui sei hai diverse concessioni. Io sono un uomo trans e ho un percorso medico da seguire con tanto di visite mediche specialistiche, che si aggirano da un minimo di 2 arrivando anche a 4 all’anno, in base a diversi fattori. Io abito e lavoro in provincia di Milano e, purtroppo, devo per forza entrare in Milano per poter avere assistenza medica specializzata in questi percorsi. Questo significa che mi ci vuole minimo un’ora di percorrenza tra il lavoro e l’ospedale, più il tempo della coda per pagare il ticket, più il tempo della visita, più una seconda ora di viaggio per rientrare a lavoro. Nella mia azienda il monte ore per le visite è pari a 10. Capite bene che ne bastano due per esaurirle. Chiedere che il numero di ore aumenti o che, per lo meno, sia fisso al massimo consentito in ogni luogo di lavoro, non significa chiedere un privilegio per le persone trans, poiché di questo ne beneficerebbero tutti i lavoratori. Questo è il significato di lotta intersezionale: fare fronte comune, considerando che la lotta del singolo può diventare un “privilegio” per tutti. È per questo che è importante portare avanti una dialettica comune, non lasciando indietro niente e nessuno.
Ad esempio, c’è un grande assente stasera: il compagno operaio Marte Manca, un amico, uomo trans, vittima di un sistema di sub-appaltazione del lavoro, che ti chiude dentro a mille forme contrattuali al ribasso salariale e di diritti. Non poteva esserci perché ha un contratto che non gli permette di prendere permessi come ho potuto fare io. Ha un contratto che prevede che lui lavori poche ore alla settimana retribuite, ma che in realtà arrivano ad essere anche 50. Le ore in eccedenza non vengono pagate come straordinari, ma vengono accumulate come monte ore che poi verrà fatto usufruire alle persone come ferie e rol. In questo sistema fuori controllo, dove puoi collocare il diritto alla salute se già manca quello a una corretta retribuzione del lavoro? Dove puoi andare a inserire il diritto alla carriera alias, se già mancano le basi per un vero diritto al lavoro?»

Tocca a Mariasole che tocca temi molto importanti per le donne, di cui ancora si parla troppo poco: endometriosi e vulvodinia, due malattie croniche invalidanti che non sono attualmente riconosciute nei Livelli Essenziali di Assistenza del Sistema Sanitario Nazionale. Continua l’intervento sul doppio lavoro delle donne e sull’importanza delle questioni di genere nelle lotte – di fabbrica o studentesche che siano.
Conclude il dibattito uno dei pensatori dello stesso: il compagno operaio Dario Salvetti, che rimarca quanto sia stato importante per tutti fare questo incontro. E ci insegna un nuovo motto: “per questo, per altro, per tutto!”
Gli operai e le operaie ci hanno accolto come fratelli e ci hanno ascoltato con attenzione ed empatia.
“La prima volta su rivolta” recita un nostro motto che portiamo ai Pride. Anche questa è stata una prima volta ed è sicuramente una rivoluzione dell’agire: serve compenetrare i discorsi, fare realmente intersezione. Ci abbiamo provato e ci siamo riusciti. Bisogna solo andare avanti. Noi ci siamo e siamo carichi!

Diego Angelo Cricelli

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