MAHSA AMINI. IL VELO INSANGUINATO
L’unica certezza è che Mahsa Amini è morta. Ventidue anni, in coma dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava bene il velo islamico. Una ragazza curda in gita a Teheran.
Iran, fine settembre 2022.
Nel web circola una foto di lei, intubata, nel letto di ospedale col viso apparentemente intatto. Come a dire: noi non l’abbiamo toccata, vedete? Ma esistono mille terribili modi per torturare, dal collo in giù. Ci siamo chiesti in questi giorni come sia possibile. Come si fa a morire per un hijab messo male.
Si può. Mahsa non era in Italia o in Occidente. Era in Medio Oriente, in uno stato islamico e con un governo religioso. Dimentichiamoci le nostre libertà. Dimentichiamoci del mondo che conosciamo.
Come dichiarato dal padre, Amjad Amini, i medici si sono rifiutati di fargli vedere Mahsa dopo il decesso: “Stanno mentendo. Stanno dicendo bugie. Tutto è una bugia… non gli importa quanto abbia implorato, non mi hanno permesso di vedere mia figlia”, ha detto alla Bbc Persia. Amini ha anche dichiarato che quando ha visto il corpo della figlia prima del funerale era completamente avvolto tranne il viso e i piedi, su cui c’erano lividi: “Non ho idea di cosa le abbiano fatto”, ha detto. La causa ufficiale della morte sarebbe attacco cardiaco, ma Mahsa non aveva mai avuto problemi di cuore.

Lavinia Mennuni, FdI, in un tweet parla di assordante silenzio delle femministe italiane rispetto a questa morte. Certamente la rassegna stampa che le viene inviata non è fatta bene. Oppure, è l’ennesima occasione per fare politica sulla pelle delle donne. Quelle morte.
Stefania Catallo

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