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LIBRI – “VIAGGIO NELLA MEMORIA” CON DACIA E LE RAGAZZE DEL CONSULTORIO. Presentazione mercoledì 11 ottobre a Civitavecchia

Articolo tratto da www.spazioliberoblog.com per gentile concessione di @Marina Marucci

“Viaggio nella memoria, luoghi perduti e ritrovati della storia delle donne di Civitavecchia” a cura di Marina Marucci e Gabriella Ramoni (Prospettiva editrice) è  un testo   che ricorda l’esperienza del laboratorio teatrale  svolto nel 1980 con Dacia Maraini e le donne del consultorio familiare.  

 E’ stato determinante per ricostruire il clima, le speranze e le aspettative vissute in quegli anni, il contribuito di amiche e compagne che frequentarono  il Consultorio e il sostegno di Dacia, la cui intervista sull’esperienza teatrale e sull’attualità,  ha arricchito un lavoro  nato dalla voglia di raccontare e di restituire alla città di Civitavecchia la memoria di storie di vita vissuta, di lotte e rivendicazioni femministe, tematiche troppo spesso e troppo presto dimenticate.

 Nel libro  ripercorriamo  i luoghi proposti nel teatro itinerante : il corteo delle “attrici” che cantando attraversava  le  principali  strade della città; la sosta ai lavatoi pubblici con le storie  delle popolane ai primi del ‘900;  l’assalto delle donne al treno dei crumiri, durante lo sciopero dei portuali del 1897; l’arrivo alla Darsena Romana della bambina che tornava da Ventotene, dove era stato esiliato il padre antifascista  ed infine il ballo in piazza, in cui si festeggiava la scelta del libero amore.

 Ricordare è una forma di conoscenza, se non addirittura un contributo  a formare la speranza e ad alimentare un’illusione che la quotidianità possa essere modificabile. Se si accetta l’affidabilità della memoria per ricomporre la realtà del passato si risale anche alle sensazioni e agli effetti rievocati sul  proprio corpo, riuscendo a cogliere realmente quanto abbiamo vissuto e, corroborate da questa consapevolezza, potremo di nuovo ripartire e progettare un futuro.

Il libro sarà presentato da Dacia Maraini e dalle autrici mercoledì 11 ottobre, ore 17,30, Hotel San Giorgio,  Via Garibaldi, 34 Civitavecchia, nell’ambito degli eventi  dell’International Tour Film Festival 2023.

Dal 10 ottobre ore 17,30 negli stessi locali,  sarà possibile visitare  la mostra fotografica “Viaggio nella memoria” di Tiziana Giuliani e Daniela Sisti.

MARINA MARUCCI

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UN LIBRO DA LEGGERE: “UNA VITA COME TANTE” di HANYA YANAGIHARA

Avevo sentito parlare di “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara (2016, Sellerio) ma non mi ero mai decisa ad acquistarlo, nonostante la mia curiosità, temendo le poderose dimensioni di quest’opera di oltre mille pagine. Nell’era di internet, dove la critica è divenuta terreno di conquista di tiktoker & co, i pareri sul libro erano discordanti: chi ne parlava entusiasticamente come del ritorno del romanzo di stile dickensiano e chi lo bocciava come verboso e vuoto. Che fare? L’unica era comprarlo e leggerlo, e così ho fatto. La trama è apparentemente semplice e narra la vita di quattro ragazzi americani, dal college all’età matura. Detto così potrebbe sembrare una storia trita e ritrita, quindi perché perdere tempo a leggerlo? In realtà “Una vita come tante”, non è il racconto del sogno americano, nel quale se si lavora duro e si è tenaci allora arriva il successo. Nel libro le vicende di quattro amici, Malcolm, Willem, Jude e JB attraversano quarant’anni nei quali crescono, si realizzano professionalmente, si innamorano, si lasciano, litigano, insomma fanno quello che è assolutamente normale per milioni di persone, ma che diventa particolare solo alla luce della lettura dell’ultima parte del libro.

Alla base di questa amicizia c’è un segreto che appartiene a Jude. Nessuno ne parla, ma aleggia tra i protagonisti, inquinandone le relazioni, fino alla fine. Il segreto non è l’omosessualità di Jude, di JB e di Willem, che è palese pur senza che nel libro venga mai approfondita in riferimento ai movimenti LGBTQ+, restando invece sospesa e sottesa; nelle pagine infatti, non ci sono né racconti di attivismo né di frequentazioni dei luoghi di socializzazione arcobaleno. Il segreto è la serie devastante di abusi subiti da Jude dapprima negli orfanotrofi cattolici, poi nelle case famiglia e poi da parte di uomini senza scrupoli. Il velo si strappa sulla “normalità” della pedofilia e dei suoi zelanti discepoli che ne seguono la dottrina, dalle alcove dei camion parcheggiati nelle aree di sosta agli scantinati chiusi a chiave dove si può fare tutto senza essere sentiti dai vicini. Pedofilia e prostituzione minorile, in un connubio dove più la vittima è giovane e più vale ai suoi sfruttatori, venduta da chi invece doveva proteggerla. Jude viene tradito, violato, abusato quasi fino alla morte. Le conseguenze di questi abusi, resistenti alla psicoterapia e all’amore, diventeranno ferite aperte che Jude non riuscirà mai a chiudere, nemmeno grazie all’amore del suo compagno.

La scrittrice Hanya Yanagihara photo @Amanda Demme

L’opera è un’epopea ben costruita, sebbene la lunghezza non sia giustificata; sacrificarne un terzo avrebbe reso la lettura più snella senza nulla togliere alla sua intensità. Il libro risente di una certa stereotipizzazione dei personaggi che inanellano un successo professionale dietro l’altro, cogliendo al volo un numero sorprendentemente impossibile di occasioni d’oro. La vera forza dell’opera è Jude e la sua vicenda umana. Vale la pena di leggerlo anche solo per questo.

L’autrice. Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, ha pubblicato il suo primo romanzo, The People in the Trees, nel 2013. Ha scritto di viaggi per Traveler e collabora con il «New York Times Style Magazine». Una vita come tante, il suo secondo romanzo uscito nel marzo 2015, è stato un successo mondiale, vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize, tra i migliori libri dell’anno per il «New York Times», «The Guardian», «The Wall Street Journal», «Huffington Post», «The Times». In Italia è stato pubblicato da Sellerio nel 2017. Nel 2020 viene pubblicato da Feltrinelli Il popolo degli alberi e nel 2022 Verso il paradiso.

Una vita come tante
Autore: Hanya Yanagihara
Pubblicato da Sellerio – Novembre 2016
Pagine: 1104 – Genere: Narrativa
Formato disponibile: BrossuraeBook
Collana: Il contesto
ISBN: 9788838935688
ASIN: B01ITNVP8K

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LE MAROCCHINATE: FRANCESCA. IL LIBRO A PUNTATE IN ESCLUSIVA

“Conta, Francesca, conta e non ti fermare: uno, due, tre, quattro, cinque…
Mentre conto sento il rumore delle pietre; mi fermo a guardarne il colore, quasi bianco con delle venature scure, e mi obbligo a non pensare che mia madre mi sta murando viva.
La guardo che ammucchia le pietre in file ordinate, mentre io resto immobile nella nicchia della cucina, quella che usiamo per riporci il pane e le poche cose da mangiare che ancora abbiamo, e che la mamma ha svuotato e dove ora ci sono io, in piedi, con la gonna legata alle gambe e un fazzoletto stretto sulla bocca per non respirare tutta questa polvere e per impedirmi di parlare; una sicurezza in più, per non essere scoperta da loro, che stanno arrivando qui e che potrebbero sentirmi.
Mamma canta piano, una canzone dedicata alla Madonna e intanto tira su il suo muro a secco. Non mi guarda nemmeno, ma la vedo piangere e asciugarsi le lacrime col dorso della mano, senza rallentare il ritmo o perdersi minimamente d’animo. Le pietre sono talmente tante che ora mi arrivano al petto, e man mano che il livello aumenta, mi sembra di soffocare, come se venissi schiacciata dal loro peso.
Per completare il lavoro, mamma prende una sedia, ci sale sopra e continua ad ammucchiare sassi: bisogna arrivare fino al soffitto. Nessuno dovrà accorgersi che questo è un muro finto e che dietro ci sono io. Solo adesso mi guarda senza dire una parola, e nei suoi begli occhi scuri ci vedo amore, paura, ma anche sfida. Poi, il buio. Devo abituare i miei occhi a questa oscurità, comandare al mio cuore di rallentare i battiti, dominare il terrore di soffocare chiusa qui, dietro questo muro di pietre.
Sento un rumore di cose trascinate, e capisco che mamma ha spostato le sedie e il tavolo verso il mio nascondiglio, e che ci sta appoggiando sopra delle trecce d’aglio e di cipolle, come se si trattasse di una parete normale, perché ne sento l’odore familiare e penetrante.
Tra una pietra e l’altra percepisco il chiarore della cucina, ma non riesco a vedere molto perché lo spazio tra di esse è stretto. Sento caldo e il sudore inizia a scendermi in rivoli dalla fronte e dalle gambe”.


“I rumori arrivano attutiti qui dietro, ma sento voci lontane e grida e spari. Sto tremando di paura, mi battono i denti dal terrore, ma devo restare vigile e immobile; se dovessi svenire cadrei in avanti facendo crollare il muro e verrei scoperta. Vorrei tanto che mamma mi avesse anche tappato le orecchie, perché quello che sento adesso è il suono dell’orrore, un rumore di corpi trascinati, di stoffa strappata, la voce di mamma che prega ad alta voce e in risposta parole incomprensibili e gemiti di sforzo, come una oscena litania in onore del signore della morte.
Non so quanto tempo sia passato, mi accorgo solo ora del sangue che mi macchia il davanti del vestito, e che mi cola dalla bocca perché nell’ora del terrore mi sono morsa le labbra, e della pozza di piscio che la terra battuta della nicchia assorbe in fretta, il segno della mia paura. Deve essere sera, perché dalle pietre non filtra nessuna luce, mentre rimango in attesa di qualcuno che venga a liberarmi dalla mia prigione.
Dalla cucina non arriva alcun suono, o forse sì; se smetto di respirare posso sentire qualcosa che assomiglia a un lamento, ma ancora troppo debole perché io possa capirne le parole. Un rumore improvviso mi fa sobbalzare: è una sedia che cade, e la voce di mamma che adesso parla e mi dice che tra poco potrò uscire, deve solo rimettere a posto un po’ la cucina e controllare che loro se ne siano andati via.
La sua voce mi fa compagnia mentre canta una ninna nanna di quando ero bambina, che mi fa chiudere gli occhi e ricordare i pomeriggi della mia infanzia, quando correvo in un campo sterminato di girasoli con le braccia aperte ad accarezzare gli steli lunghi e vellutati di quei fiori più alti di me. Sento un rumore di acqua e capisco che mamma si sta lavando.
Poi si sente entrare qualcuno, dalla voce riconosco Rosina, la signora che abita di fronte, che singhiozza disperata e poi all’improvviso tace, come se qualcuno le avesse detto di stare zitta, per pietà, che Francesca adesso non deve sentire, ci sarà tempo e voglio essere io che sono sua madre a dirglielo.
Mamma ha acceso una candela in cucina, la sua fiamma illumina debolmente la mia prigione. Ora mi parla, mi sta dicendo che tra un momento inizierà a togliere le pietre. Non ti impressionare quando mi vedrai, mi dice, ho qualche livido, ma niente di rotto, ma tempo qualche giorno e passerà tutto quanto e saremo quelle di prima. Comincio a vedere il chiarore che entra dall’alto, e ricomincio a contare: uno, due, tre, quattro, cinque.
La prima fila viene giù, poi la seconda e la terza. Respiro rumorosamente mentre mi strappo il fazzoletto dalla bocca e chiamo mamma, anche se la voce non vuole arrivare subito, ed eccola mamma è qui davanti a me che mi guarda con gli stessi occhi di sempre, anche se uno è quasi chiuso per quanto è gonfio. Ha la faccia piena di graffi e lividi e dei segni sul collo come se qualcuno avesse tentato di strozzarla. Ha messo un vestito diverso da quello di stamattina, questo è a fiori rossi e neri e profuma di sapone. Vedo che ha un ginocchio e un piede fasciati, ma sorride e canta, canta anche se ha le labbra spaccate, ma non ha importanza.
Poi prende un coltello e taglia la corda che mi teneva ferma la gonna. Mi appoggio alla sua spalla per scendere dalla nicchia, facendo attenzione a non mettere i piedi sui sassi. Tremiamo entrambe, vorrei chiederle cosa è successo, ma ci sarà tempo, me lo dirà lei se lo vorrà. Ci abbracciamo.
Mamma mi porge un bicchiere di acqua fredda che prendo con mani incerte. Poi ci sediamo a terra, io mi sdraio sul pavimento e appoggio la testa sul suo grembo mentre lei canta ancora, canta piano una canzone di vittoria dalle parole sconosciute e ci addormentiamo così, tra le pietre del muro che mi ha salvata dai marocchini”.


Durante l’avanzata dei goumiers, e a seguito delle voci degli stupri perpetrati su donne e bambine, le popolazioni elaborarono strategie difensive affinché esse non venissero individuate e catturate. Si adoperarono come rifugio le grotte naturali, sia in superficie che sotterranee; e nei casi più estremi qualsiasi nicchia abbastanza capiente fosse presente in casa, murandola con l’uso di pietre a secco e mimetizzandola in modo che sembrasse una parete normale.

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ESCLUSIVA SUOR TERESINA DA “LE MAROCCHINATE” IL LIBRO A PUNTATE

L’assalto dei goumiers del maggio 1944 non risparmiò neanche i conventi. Molte suore vennero violentate, sebbene la Chiesa non lo abbia mai confermato. La testimonianza di suor Teresina risulta pertanto preziosissima, e sebbene sia stato per me estremamente difficile raccoglierla, rimane una delle voci più intense che io abbia ascoltato durante la mia ricerca. Stefania Catallo

Montaggio video: @Emilio Spataro

Ho commesso peccato mortale, ma il Signore saprà perdonarmi. Lo so che è una cosa terribile, ma che altro potevo fare?
Io sono suor Teresina del Volto Santo di Gesù, ho quasi novanta anni e sono suora da una vita, ormai.
Insieme con le altre sorelle abbiamo fatto sempre una vita molto ritirata e tranquilla: preghiera e lavoro, lavoro e preghiera, per noi e per il mondo, che ce n’è davvero tanto bisogno. Ma si prega pure lavorando, e ognuna di noi, qui nel convento, è come l’ingranaggio di un orologio: per farlo funzionare bene dobbiamo impegnarci tutte e ognuna ha il suo compito. Io, ormai, alla mia età posso fare ben poco, ma riesco ancora a ricamare. Lo faccio benissimo come quando ero giovane e le famiglie dei paesi vicini mi mandavano le figlie per imparare. Sapesse quanti corredi abbiamo creato, cose talmente belle da fare invidia agli angeli! E poi con me queste ragazze hanno imparato un mestiere, così se avessero avuto problemi di soldi, beh di sicuro se la sarebbero cavata.
Qui intorno abbiamo avuto i tedeschi per anni. Non si sentivano neanche, sembravano come fantasmi; li vedevamo ogni tanto, quando un attendente bussava alla nostra porta per comprare un po’ di miele o una bottiglia di vin santo per gli ufficiali. Con noi si comportavano bene, erano educati; sapevamo perfettamente che fuori dal convento le cose erano diverse. Dopotutto erano invasori, e certo non erano i benvenuti soprattutto tra i giovani. Dopo l’8 settembre poi, erano diventati spietati, ormai sapevano di avere perso la guerra e allora la loro rappresaglia era diventata brutale. Da noi arrivavano i feriti per la Resistenza e quelli che volevano nascondersi, e la madre superiora li accoglieva e li curava.
Noi suore abbiamo sempre fatto il possibile per loro, senza fermarci mai se non per cambiarci l’abito che dopo poche ore era già sporco di sangue un’altra volta, pregando, pregando sempre perché se non lo avessimo fatto saremmo diventate tutte pazze. Sì, perché quello che vedevamo era troppo: i feriti, gli uomini fatti a pezzi, con il sangue che ci schizzava addosso, e dovevamo tamponare emorragie e raccogliere pezzi di carne, e sorridere, sorridere comunque. Se non ci fosse stata la preghiera io non lo so come avremmo fatto… forse saremmo tutte morte, o peggio.
Quando abbiamo saputo che erano sbarcati gli Alleati, ci è sembrato che il Signore avesse risposto alle nostre preghiere. Abbiamo celebrato una messa di ringraziamento mettendo la tovaglia più bella sull’altare. È venuta tanta gente, avevamo tutti la speranza che di lì a poco saremmo stati di nuovo liberi e questo male sarebbe cessato. Invece sono passati i mesi, e qui intanto non cambiava niente; gli Alleati erano fermi al Garigliano e non riuscivano a passare. Bisognava pregare e così abbiamo fatto, mettendoci nelle sante mani della Madonna, affinché i soldati riuscissero a giungere fino a noi per liberarci.
E un giorno di maggio arrivarono i liberatori. I marocchini. Avevamo appena finito di dire il rosario: dal chiostro si sentivano rumori e grida, ma non era come le altre volte, quando i tedeschi decidevano di mettersi a sparare contro tutti; stavolta era diverso, ce lo sentivamo nelle ossa, ed era una sensazione agghiacciante. La madre superiora ordinò alle sorelle di andare tutte in chiesa, mentre io e lei aprivamo il portone del convento, per capire cosa stesse succedendo. Uscimmo fuori di qualche passo, e improvvisamente arrivò una ragazza del paese, precipitandosi dentro e gridando di chiudere la porta.
Era sporca di sangue e coi vestiti strappati, i capelli ridotti a una massa di terra e sangue; erano arrivati i marocchini, ci disse, stavano rubando tutto nelle case, uccidevano le persone e prendevano le donne. Ci raccontò che erano come una nuvola di cavallette che stava calando e distruggeva tutto ciò che incontrava; povera figlia, non riusciva a parlare per la paura e il dolore di quello che aveva subito.
La madre superiora disse che questa era la casa del Signore, e qui non sarebbero mai entrati. La Madonna ci avrebbe protette da questi barbari, e che dovevamo pregare. Lo facemmo certo, mentre sentivamo i loro colpi al portone farsi sempre più forti, insieme a quelle grida in una lingua incomprensibile. Capimmo di essere perdute quando alcuni di loro scavalcarono il muro di recinzione del convento e ci corsero dietro ridendo come pazzi.
Ecco, avevamo un fucile che ci era stato lasciato da un giardiniere qualche tempo prima. Dovevamo difenderci, questi qua non si sarebbero fermati davanti a nessuno e allora corsi a prenderlo. Io non ero capace a sparare, ma riuscii a colpirne uno appena entrato nel convento. Ma loro erano tanti, e noi un gruppo di suore indifese. La guerra è terribile, perché toglie l’umanità alle persone. In guerra non si conoscono fratelli né sorelle, si pensa solo a sopravvivere, e per farlo si è disposti a tutto. Anche a dimenticare quello che è successo, se può servire a evitare di impazzire, oppure a fare finta che non sia mai accaduto niente e continuare a vivere come prima, giorno dopo giorno, lavoro e preghiera, preghiera e lavoro.
Ma è la notte il momento più terribile, e i miei fantasmi mi hanno infestato per tanto tempo. Avevano i volti e le voci dei marocchini. Madre Maria Lucia mi ha incaricato di occuparmi dell’orto. È tempo di conserve, ormai i pomodori sono quasi maturi e tra qualche giorno li raccoglierò per fare la passata. Dovrò iniziare a tirare fuori i barattoli di vetro per farli bollire, e preparare tutto l’occorrente; faccio un elenco mentale mentre mi avvio verso le cucine: serviranno taglieri, ciotole, contenitori per l’acqua, qualche coltello e quei lunghi cucchiai di legno per girare il composto, che ogni anno non si trovano mai. Ah, e poi naturalmente, le pentole grandi da porre sul fuoco. Dovrò chiedere a suor Maria Grazia, che sembra possedere una mappa mentale degli oggetti. Lei sa sempre esattamente dove si trovano le cose, che siano le lenzuola o la tovaglia dell’altare o gli avanzi della cena di ieri sera. Ognuna di noi è un ingranaggio nel motore del convento: guai se un granellino di sabbia dal Sahara riuscisse a fermarlo.

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  • Registrazione Tribunale di Roma n.133/22 del 8/11/22

Direttore Stefania Catallo

Stefania Catallo, romana e fondatrice del centro antiviolenza Marie Anne Erize. Si occupa di storia orale e di diritti delle donne. Giornalista e scrittrice, ha pubblicato diversi libri, l'ultimo dei quali "Evviva, Marie Anne è viva!" (2018, Universitalia), ha ricevuto il Premio Orsello nella sezione Società.

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EMYLIU' SPATARO

Emilio Spataro, in arte Emyliù, attore, chansonnier, fotografo, grafico. Di origine calabrese cirotana, vive a Roma. Opinionista e Web Master del Magazine.

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Opinionista disincantata, dotata di un notevole senso dell'umorismo e di una dialettica tagliente, Mava Fankù cura attualmente due rubriche, La Pillola Politica e I Pensierini di Mava, elzeviri su temi vari che ispirano la nostra signorina agèe, da poco anche in video, oltre che in podcast, oltre che in scrittura.

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Romano, educatore, formatore e appassionato di lettura e comunicazione. Attore del Teatro Studio Jankowski di Roma

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VENIO SCOCCINI

Diplomato all'Istituto Alberghiero Michelangelo Buonarroti di Fiuggi (FR) - Dopo una lunga esperienza in Italia, e all'estero come chef per personaggi di rilievo, sia in casa che su yacht, nel 2013 si è trasferito a Londra, dove ha appreso nozioni di cucina multietnica continuando a lavorare come chef privato.

ROSELLA MUCCI

Ho sperimentato il palco cimentandomi in progetti di Teatro Sociale tra il 2012 e il 2015 con testi sulla Shoa, sul femminicidio, sulla guerra. Il mio percorso teatrale è poi proseguito in autonomia quando ho sentito il desiderio di portare in scena testi scritti proprio da me.Tutti i miei scritti per scelta hanno

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