3 Ottobre 2023
Da sinistra: Vita Palamanca, Emyliù Spataro, Jasmine Piattelli in "Le sorelle fatali(tà" al Lumen di Firenze
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LA VIDEORICETTA CHETOGENICA DI CHEF VENIO: ZUCCHINE RIPIENE LIGHT

INGREDIENTI

6 zucchine
300 gr di macinato
100 gr parmigiano
250 gr Philadelphia
1 uovo
Sale
Pepe
Timo fresco
Olio extravergine di oliva.
2 agli tritati freschi

PREPARAZIONE

Tagliare le zucchine a metà e svuotarle, salare, pepare, aggiungere un filo di olio e infornarle a 170 g per 10-15 minuti. La zucchina non deve bruciare ma deve semplicemente arrendersi.
Nel frattempo, preparate il ripieno: macinato, uovo, Philadelphia, parmigiano, sale, pepe, timo e aglio.
Riempire le zucchine e cuocere in forno a 185 gradi per 35 minuti circa.
Questa è una ricetta BASE per una dieta chetogenica; potete chiuderla condendo le zucchine con del pomodoro fresco tagliato a cubetti, condito con sale, pepe, timo e basilico o con una salsa al pomodoro fresco.
Buon appetito e…fate i buoni!

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LA VIDEOPOESIA – “FUORI POSTO” DI CHARLES BUKOWSKI

In copertina: Charles Bukowski, Literary Legend is a painting by Esoterica Art Agency which was uploaded on December 12th, 2019.

GUARDA LA VIDEOPOESIA INTERPRETATA DA ALESSIO PAPALINI

FUORI POSTO


Brucia all’inferno
questa parte di me che non si trova bene in nessun posto
mentre le altre persone trovano cose
da fare nel tempo che hanno
posti dove andare insieme
cose da
dirsi.

Io sto
bruciando all’inferno da qualche parte nel nord del Messico.
Qui i fiori non crescono.
Non sono come
gli altri, gli altri sono come
gli altri.

Si assomigliano tutti:
si riuniscono, si ritrovano
si accalcano
sono allegri e soddisfatti
e io sto bruciando all’inferno.

Il mio cuore ha mille anni.
Non sono come
gli altri.
Morirei nei loro prati da picnic
soffocato dalle loro bandiere
indebolito dalle loro canzoni
non amato dai loro soldati
trafitto dal loro umorismo
assassinato dalle loro preoccupazioni.

Non sono come gli altri.
Io sto bruciando all’inferno.

L’inferno di me stesso

Henry Charles Bukowski

ASCOLTA LA POESIA INTERPRETATA DA ALESSIO PAPALINI


Cena a sbafo (Testo inglese a fronte) Charles Bukowski Traduttore: Simona Viciani Editore: Guanda Collana: Poeti della Fenice Anno edizione: 2009

Licenza musica

Title: Moonlight
Author: Kris Keypovsky
Source: https://freemusicarchive.org/music/kris-keypovsky/single/moonlight/
License: CC BY 4.0 International License
Edit

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ECCO A VOI I CHIPPENDALES: UNO STRIP CLUB PER SOLE DONNE TRA SESSO, MUSCOLI E RAZZISMO

Primi anni ’80. Finte bionde, colori fluo e musica mitica. Un giovane indiano arriva negli Stati Uniti e fa la fame per anni, lavorando a una stazione di servizio, sopravvivendo a panini scaduti e privazioni pur di mettere da parte il più possibile. Si chiama Somen Banerjee, per gli amici Steve (Kumail Nanjiani). Arrivato a un discreto gruzzolo, si licenzia per aprire un locale di backgammon, che si rivela un fiasco totale. Ma quando il diavolo ci mette la coda, succede che nel posto arrivano Paul Snider (Dan Stevens), traffichino in cerca di affari e la moglie, la Playmate 1979 e 1980 ossia Dorothy Stratten (Nicola Peltz Beckham). Il primo fiuta l’affare e propone uno strip club per sole donne: inizia così la leggenda del Chippendales.

Negli anni della rivoluzione sessuale anche le donne vogliono i loro locali e, come dice Dorothy rispondendo per le rime al marito geloso e infastidito della competizione con uomini dal fisico statuario: “Anche le donne si eccitano“. La storia della serie potrebbe sembrare semplice: ascesa e declino di Steve Banerjee. Ma la realtà è più complessa. Dietro ai lustrini e all’esibizione dei muscoli e non solo, è tutto un tripudio del corpo e dell’edonismo anni ’80. Nel Chippendales non solo si può vedere lo spettacolo, ma i ballerini si possono anche toccare e per le più ardite, c’è la possibilità di fare sesso con loro, con contorno di droghe varie. Aprire il locale con la pretesa di renderlo un posto sessual-femminista potrebbe sembrare anche una buona idea, ma Banerjee dovrà fare i conti con un sottobosco fatto di criminalità, di egoismo e di cattivi sentimenti. Non è tutto oro quello che luccica, e a farne le spese sarà proprio lui che, pur potendo godere del frutto del suo lavoro insieme alla moglie Ireen (Annaleigh Ashford) ragioniera del Chippendales, finirà per venire travolto da se stesso, in una spirale autodistruttiva. Il tutto per ragioni legate alla competizione con Nick De Noia (Murray Bartle) geniale coreografo sostenuto dalla costumista Denise (Juliette Lewis), e da un certo razzismo che Banerjee ha interiorizzato e che agisce, soprattutto su Otis (Quentin Pair), primo ballerino di colore del locale e sui clienti di razza nera, non graditi perché “abbassano il livello del locale“, razzismo che lo porterà alla bancarotta.

Quentin Pair in una scena della serie

Chippendales è uno spaccato sulla parte problematica degli anni ’80, entrati nel mito per la loro presunta forza rivoluzionaria ma inquinati dal razzismo, dall’omofobia e dalla finta trasgressione. I ballerini del Chippendales sono in qualche modo gli antesignani dei California Dream Men e dei nostri Centocelle Nightmare, in bilico tra arte e ammiccamento sessuale. L’ambientazione è curatissima, così come i costumi. E, spente le luci, la serie si riflette negli anni in cui si svolge: luccicante come una paillette, ma non come un diamante.

Kumail Nanjiani in una scena della serie tv

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IL MANUALE DEL PERFETTO LAPIDATORE, OVVERO I CONSIGLI DELL’IMAM DI GREEN LANE PER UN FEMMINICIDIO A REGOLA D’ARTE

Accade a Birmingham, in Gran Bretagna e precisamente nella moschea di Green Lane che l’imam Sheikh Zakaullah Saleem dispensi consigli per un femminicidio a regola d’arte. Il video del tutorial era disponibile su YouTube ma poi, magia, è sparito, secondo quanto afferma il quotidiano The Mail on Sunday. Seguendo il link che vi indichiamo è tuttavia possibile visionarne un brano:

https://www.la7.it/intanto/video/il-sermone-choc-dellimam-di-birmingham-ecco-come-lapidare-le-donne-adultere-04-09-2023-501056

La ricetta dell’imam è, tutto sommato, semplice. “La donna ritenuta colpevole di adulterio deve essere prima sepolta in una buca nel terreno, fino alla vita in modo che non si vedano le parti intime , e solo dopo è possibile il lancio delle pietre, che termina quando la condannata muore per le lesioni”. Di fronte a queste affermazioni inconfutabili, la moschea ha emesso una nota, specificando che il video era stato estrapolato dal contesto e che l’imam “non ha mai detto che questa pratica debba avvenire nella società britannica”. Però in altre parti del mondo, evidentemente avviene.

Immediatamente dopo la diffusione del video, il Dipartimento britannico per la cultura, i media e lo sport (DCMS) ha sospeso una sovvenzione pari a circa 2 milioni di sterline per la costruzione di centri giovanili in tutta la Gran Bretagna.

 Tanto per non essere da meno, qualche tempo fa un altro imam, Abu Mustafa Rayyan, aveva i tenuto un sermone in cui affermava che una moglie deve soddisfare i “bisogni fisici” del marito in ogni momento, includendo con ciò anche possibili episodi di stupro coniugale. E tanto per aggiungere la ciliegina sulla torta,  Al-Thahabi un altro simpatico imam, aveva dichiarato: “Se dovessi definire gli omosessuali cani perversi, sporchi e schifosi che dovrebbero essere assassinati, questa è la mia libertà di parola, non è vero? Ma diranno no, non sono tollerante. Ma ritengono che sia giusto dire qualcosa sul Profeta”. 

La Comunità Religiosa Islamica Italiana, rappresentata dal Consiglio delle guide religiose della Coreis, si schiera contro le affermazioni dell’imam riguardo la lapidazione delle donne durante il sermone della preghiera comunitaria del venerdì. La sua è stata una “brutale descrizione tecnica e la giustificazione addotta dai responsabili è intollerabile e puerile. “Ciò che è davvero artificiale e artefatto del sermone in questione è la totale mancanza di senso di coerenza e di opportunità religiosa, la mancanza di sensibilità e consapevolezza del contesto e delle reali priorità spirituali dei fedeli nella storia e nella società contemporanea dell’Occidente” conclude la nota.

Neanche le scuse. Povere noi.

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IL DISAGIO DI BARBIE, STEREOTIPO FEMMINISTA DEMODE’ @ di Emyliù Spataro

Immagini del film @Barbie di Greta Gerwig

Ascolta il podcast dalla voce di Emyliù

Continuo la rubrica di cinema del mio alter ego Mava Fankù , parlandovi del film più chiacchierato della stagione, talmente tanto attaccato da tutti i fronti sui social che era doveroso andarlo a vedere al cinema, con la speranza di smentire le opinioni dal sentore snob, il più delle volte espresse con pregiudizio senza averlo visto.

Barbie di Greta Gerwig, prodotto tra gli altri dalla Mattel, l’azienda di giocattoli che creò la bambola più famosa del mondo nel 1959, è un’operazione commerciale troppo imponente perchè il film possa risultare debole e banale ad una prima visione superficiale, condizionata peraltro da pregiudizi pseudo intellettuali, che volevano farlo passare per un pericoloso veicolo di messaggi negativi.

Ma già dopo le prime scene ci si trova davanti ad un giocattolo perfetto nella sua complessità, non concepito per un pubblico di bambini se non nell’apparente sfavillio plastico delle mirabolanti scene e fantasmagorici costumi multiaccessoriati, tripudio di rosa, come nella più lussuosa Barbieland che sia mai stata concepita.

Dunque il pubblico infantile del film, che viene portato al cinema dagli adulti, non resterà deluso nella trasposizione visiva della fiaba postmoderna di Barbie, ma la sceneggiatura su diversi piani di lettura risulterà incomprensibile sia per i bambini (sedotti però dalla forma) che per gli adulti sempliciotti e disorientati dagli inaspettati dialoghi esistenzialisti depressi di Barbie Stereotipo, interpretata felicemente da Margot Robbie, quando pone ad alta voce una domanda destabilizzante: “Avete mai pensato di morire”?

E questa inaspettata angoscia di morte porterà Barbie ad uscire dal suo mondo perfetto (una caverna rosa, metafora della Caverna di Platone, dove regna il buio dell’ignoranza), scendendo nel mondo reale diverso da come si aspettava, scoprendo di aver generato dei falsi miti diseducativi e mettendosi dunque in discussione, con il suo compagno Ken, ruolo subalterno interpretato da Ryan Gosling (blandamente da Oscar).

Interessante è la dissonanza cognitiva in cui si ritrovano i due asessuati bamboli umanizzati, confrontandosi nei due mondi paralleli. Così, mentre Barbie scopre che la sua immagine di bambola anticonformista, ha generato nelle ex bambine oramai donne degli stereotipi di genere, portandole a seguire inverosimili standard che le hanno allontanate dalla parità di genere, Ken invece, venendo da un mondo irreale che lo aveva sempre considerato “oggetto di Barbie”, scopre il patriarcato, sistema sociale che vede l’uomo protagonista assoluto, non più marginale personaggio secondario, dove il maschile assorbe il femminile, ricoprendo ruoli di potere.

E a differenza di Barbie che va in conflitto interiore, nella scoperta delle nuove informazioni del mondo reale, aiutata anche dalle donne che incontrerà durante il film, Ken si emancipa dal ruolo da comprimario, tentando di riproporre a Barbieland le idee del patriarcato che l’hanno più colpito.

Insomma, altro che film stupido e melenso! Estraggo il toccante monologo di Gloria, personaggio interpretato dall’attrice America Ferrera, che vuole evidenziare i contrasti e gli ostacoli che le donne trovano nella nostra società:

“Devi essere magra, ma non troppo magra. Non puoi mai dire che vuoi essere magra, devi dire che vuoi essere sana, ma devi comunque essere magra. Devi essere un capo, ma non puoi essere autoritaria. Devi essere una donna in carriera, ma devi anche prenderti cura delle altre persone.

Devi rispondere dei cattivi comportamenti degli uomini, il che è allucinante, ma se lo fai notare vieni accusata di lamentarti. Devi rimanere bella per gli uomini, ma non così bella da tentarli troppo, da minacciare altre donne”.

Questo film, di genere commedia drammatica con tratti da musical, offre molti spunti di riflessione e andrebbe visto al cinema, per entrare nella sua magia, e poi rivisto in streaming per studiarlo nei contenuti.

Emyliù Spataro

Emyliù Spataro

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UN LIBRO DA LEGGERE: “UNA VITA COME TANTE” di HANYA YANAGIHARA

Avevo sentito parlare di “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara (2016, Sellerio) ma non mi ero mai decisa ad acquistarlo, nonostante la mia curiosità, temendo le poderose dimensioni di quest’opera di oltre mille pagine. Nell’era di internet, dove la critica è divenuta terreno di conquista di tiktoker & co, i pareri sul libro erano discordanti: chi ne parlava entusiasticamente come del ritorno del romanzo di stile dickensiano e chi lo bocciava come verboso e vuoto. Che fare? L’unica era comprarlo e leggerlo, e così ho fatto. La trama è apparentemente semplice e narra la vita di quattro ragazzi americani, dal college all’età matura. Detto così potrebbe sembrare una storia trita e ritrita, quindi perché perdere tempo a leggerlo? In realtà “Una vita come tante”, non è il racconto del sogno americano, nel quale se si lavora duro e si è tenaci allora arriva il successo. Nel libro le vicende di quattro amici, Malcolm, Willem, Jude e JB attraversano quarant’anni nei quali crescono, si realizzano professionalmente, si innamorano, si lasciano, litigano, insomma fanno quello che è assolutamente normale per milioni di persone, ma che diventa particolare solo alla luce della lettura dell’ultima parte del libro.

Alla base di questa amicizia c’è un segreto che appartiene a Jude. Nessuno ne parla, ma aleggia tra i protagonisti, inquinandone le relazioni, fino alla fine. Il segreto non è l’omosessualità di Jude, di JB e di Willem, che è palese pur senza che nel libro venga mai approfondita in riferimento ai movimenti LGBTQ+, restando invece sospesa e sottesa; nelle pagine infatti, non ci sono né racconti di attivismo né di frequentazioni dei luoghi di socializzazione arcobaleno. Il segreto è la serie devastante di abusi subiti da Jude dapprima negli orfanotrofi cattolici, poi nelle case famiglia e poi da parte di uomini senza scrupoli. Il velo si strappa sulla “normalità” della pedofilia e dei suoi zelanti discepoli che ne seguono la dottrina, dalle alcove dei camion parcheggiati nelle aree di sosta agli scantinati chiusi a chiave dove si può fare tutto senza essere sentiti dai vicini. Pedofilia e prostituzione minorile, in un connubio dove più la vittima è giovane e più vale ai suoi sfruttatori, venduta da chi invece doveva proteggerla. Jude viene tradito, violato, abusato quasi fino alla morte. Le conseguenze di questi abusi, resistenti alla psicoterapia e all’amore, diventeranno ferite aperte che Jude non riuscirà mai a chiudere, nemmeno grazie all’amore del suo compagno.

La scrittrice Hanya Yanagihara photo @Amanda Demme

L’opera è un’epopea ben costruita, sebbene la lunghezza non sia giustificata; sacrificarne un terzo avrebbe reso la lettura più snella senza nulla togliere alla sua intensità. Il libro risente di una certa stereotipizzazione dei personaggi che inanellano un successo professionale dietro l’altro, cogliendo al volo un numero sorprendentemente impossibile di occasioni d’oro. La vera forza dell’opera è Jude e la sua vicenda umana. Vale la pena di leggerlo anche solo per questo.

L’autrice. Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, ha pubblicato il suo primo romanzo, The People in the Trees, nel 2013. Ha scritto di viaggi per Traveler e collabora con il «New York Times Style Magazine». Una vita come tante, il suo secondo romanzo uscito nel marzo 2015, è stato un successo mondiale, vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize, tra i migliori libri dell’anno per il «New York Times», «The Guardian», «The Wall Street Journal», «Huffington Post», «The Times». In Italia è stato pubblicato da Sellerio nel 2017. Nel 2020 viene pubblicato da Feltrinelli Il popolo degli alberi e nel 2022 Verso il paradiso.

Una vita come tante
Autore: Hanya Yanagihara
Pubblicato da Sellerio – Novembre 2016
Pagine: 1104 – Genere: Narrativa
Formato disponibile: BrossuraeBook
Collana: Il contesto
ISBN: 9788838935688
ASIN: B01ITNVP8K

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LA VIDEOPOESIA – QUANDO I GENITORI INVECCHIANO, DI PABLO NERUDA

QUANDO I GENITORI INVECCHIANO

di Pablo Neruda

Lasciali invecchiare con lo stesso amore con cui ti hanno fatto crescere..

Lasciali parlare e raccontare ripetutamente storie con la stessa pazienza

e interesse con cui hanno ascoltato le tue quando eri bambino…

Lasciali vincere, come tante volte loro ti hanno lasciato vincere….

Lasciali godere dei loro amici, delle chiacchiere con i loro nipoti…

Lasciali godere vivendo tra gli oggetti che li hanno accompagnati per molto tempo,

perché soffrono sentendo che gli strappi pezzi della loro vita…

Lasciali sbagliare, come tante volte ti sei sbagliato tu…

Lasciali vivere

e cerca di rendergli felice l’ultimo tratto del cammino che gli manca da percorrere,

allo stesso modo in cui loro ti hanno dato la loro mano quando iniziavi il tuo.

ASCOLTA IL PODCAST DELLA POESIA INTERPRETATA DA ALESSIO PAPALINI

Musica:

Title: Moonlight

Author:  Kris Keypovsky

Source:  https://freemusicarchive.org/music/kris-keypovsky/single/moonlight/

License: CC BY 4.0

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ANNA SEGRE: “QUESTO STUPRO E’ UNO STUPRO, SOLO CHE E’ NARRATO”. PALERMO, CAIVANO E LA TERRA DI NESSUNO DEL WEB

In copertina: Anna Segre

L’art. 609-bis (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. La stessa pena si applica a chi costringe taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità, la pena può essere diminuita in misura non eccedente i due terzi” (testo dell’articolo 609 bis del Codice Penale italiano).

Dopo i fatti di Palermo, è notizia recentissima quella di un’altra violenza sessuale, protratta per circa un anno su due bambine di Caivano, in provincia di Napoli. Anche qui gli autori sono un gruppo di giovani, dei quali la maggior parte minorenni. Anche qui tutto è stato filmato e diffuso, finché le immagini non sono finite sul cellulare del fratello di una delle bambine, che ha denunciato l’accaduto all’autorità. Si è parlato di assenza della famiglia, dello Stato, delle istituzioni per spiegare la violenza sulla violenza, in una spirale senza fine che parte dal mondo cosiddetto reale per arrivare fino all’ultimo cerchio dell’inferno telematico. In queste storie non c’è e non c’è stato solo abuso fisico e psicologico, ma anche una violenza sociale e social. Lo stupro non basta più, adesso c’è bisogno anche del video e di tante condivisioni e perché no, di monetizzare l’accaduto perché c’è chi è disposto a pagare profumatamente per vedere una donna violentata. Snuff movies docet. Abbiamo incontrato Anna Segre, psicoterapeuta e poeta romana, per cercare di capire cosa sta succedendo e perché sta accadendo.

Anna Segre, lo stupro di Palermo, del quale si parla tantissimo in questi giorni, non è il primo stupro di gruppo di cui si ha notizia. Tuttavia questo sembra avere colpito molto l’attenzione comune. Cos’é che fa la differenza in questo caso, secondo lei? 

“Questo stupro è uno stupro. Solo che è narrato.

Cambia la narrativa. Il fatto che i messaggi, poi resi pubblici, fossero esplicativi della teoria della mente degli stupratori. C’è stato, per chi li ha letti, un immaginare dagli occhi loro. La metafora di ‘cento cani su una gatta’, la metafora della carne è carne, anche al sangue, sono immagini, noi vediamo un animale piccolo circondato e sbranato da molti animali grandi, e sul sangue è inevitabile pensare alla vittima che sanguina…

E, sempre dai messaggi, trapela la convinzione di essere nel giusto, di avere ragione, al punto, infatti, che se li sono scambiati, come fosse normale”. 

Quanto influiscono i siti porno in tutto questo?

“I siti porno forniscono la scena, quasi suggeriscono un copione, e abbassano la soglia del sopportabile, nel senso che azioni estreme passano invece per lecite, tollerabili, ammesse. Le fantasie erotiche sono condizionate da queste rappresentazioni. Sono letteralmente suggerite. Passa l’idea che il piacere sia quella cosa lì, che si senta quello che sembra si senta”. 

Immagine web

E’ possibile che la pornografia distorca in questa maniera la visione del sesso di un adolescente?

“L’accesso ai siti porno è facile e in più le piattaforme porno sono le meglio funzionanti di tutte. Dobbiamo constatare che l’età delle persone che li frequentano si è abbassata. Troppo. Gli adolescenti non sono pronti da un punto di vista della maturità sessuale a queste rappresentazioni. Se tu a 11 anni guardi video porno, non puoi decodificare e dimensionare ciò che accade. È come se facessimo camminare un neonato: gli si deformerebbero le ossa. E cosa passa? Che quella è la sessualità. Una performance, basata su posizioni, pose e atti che vanno espletati in quel modo, quasi privo di relazione interpersonale”.

Le chiedo di chiarire il concetto di stupro in modo da non lasciare ombre, semmai ce ne fossero, perché per alcuni si tratta ancora di un atto di erotismo e non di sottomissione e di annientamento della vittima.

“Ci sono ombre su cosa sia uno stupro? Tutte le azioni inerenti il sesso senza consenso sul corpo di una persona. L’annientamento come individuo, il rendere oggetto l’altra, l’utilizzo della violenza innanzitutto come relazione e poi come gesti sul corpo. Si sa talmente bene cosa sia uno stupro, che si tramanda nelle generazioni sempre uguale, abbiamo statue, quadri e poemi su cosa sia uno stupro. È un esercizio di potere. Pulizie etniche, metodi di sottomissione, minacce implicite delle istituzioni. Lo sappiamo noi donne e naturalmente tutti gli uomini. L’altro giorno una bambina di 8 anni mi ha chiesto: ma 7 donne su un uomo esiste?”.

Secondo la sua opinione, quale punizione sarebbe più efficace e riabilitativa per questi giovani?

“Dobbiamo constatare che le punizioni attuali sono inefficaci. E rispetto al danno inferto è acqua fresca: non risarcisce, non restituisce, non educa. La vittima ne ha la vita segnata, condizionata e lo stupratore passa il tempo a minimizzare, negare e spergiurare che c’era il consenso. Perché una donna che piange e dice no in realtà sta dicendo: sì, godo, continua. Non si sa per quale perverso decoder c’è questa traduzione condivisa. 

Efficace sarebbe una collettività che schifa questi comportamenti. Nessuno di noi terrebbe un comportamento schifato (uso la parola a ragion veduta) dalla madre, dai vicini di casa e dai professori e dai passanti. Ma dovrebbe essere schifato in modo capillare, proponendo in alternativa una relazione umana che renda l’eros condiviso la miglior scelta. Sei fico, se la tua storia d’amore e di sesso è costruita con la partner, il sesso più bello è quello fatto insieme, le fantasie più belle sono quelle reciprocamente raccontate, sei un vero uomo, se provi sentimenti e desiderio per una vera donna. E la nostra collettività, purtroppo, non va in questa direzione. 

C’è molta violenza collettiva verso questi 7 stupratori. Ma loro sono figli della violenza, chiamano mamma la violenza: sarebbe conferma e consolidamento di un sistema picchiarli, stuprarli, castrarli, ucciderli. Come loro hanno fatto alla vittima, fare a loro”. 

La madre di uno degli imputati sembra abbia elargito consigli su come sbarazzarsi di prove compromettenti, insultando anche la vittima “come una che se l’è cercata”. E’ un fallimento del femminismo?

“Appunto. La madre non schifa il comportamento del figlio. Segna il cammino di cui sopra: minimizzare, negare e spergiurare. 

Il femminismo fa sì che noi siamo qui a parlarne, che le pazienti formulino la domanda in terapia: è giusto che lui mi chieda di fare sessualmente questo o quello? E che ci possa essere la risposta: ma a te cosa piace? 

Il femminismo consente la discussione e che questa madre si qualifichi come portabandiera di un patriarcato millenario. 

Non è il genitale che ti fa femminista, sono i contenuti rispetto alla maggioranza più discriminata della terra: le donne”. 

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UNA POESIA DI ALDA MERINI: SORRIDI DONNA

ASCOLTA IL PODCAST DELLA POESIA INTERPRETATA DA ALESSIO PAPALINI

Sorridi, di Alda Merini


Sorridi donna
sorridi sempre alla vita
anche se lei non ti sorride.
Sorridi agli amori finiti
sorridi ai tuoi dolori
sorridi comunque.
Il tuo sorriso sarà
luce per il tuo cammino
faro per naviganti sperduti.
Il tuo sorriso sarà
un bacio di mamma,
un battito d’ali,
un raggio di sole per tutti.

Author: Koi-discovery
Title: Phenix-unplugged
Source: https://freemusicarchive.org/music/koi-discovery/omega/phenix-unplugged/
Public domain CC 1.0 Universal License

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ARTE – TINA LOIODICE PRESENTA ROMA IN 100 CENTIMETRI QUADRATI IX EDIZIONE: I GATTI DE ROMA

I famosi, bellissimi gatti di Roma sono gli ispiratori della IX Edizione di “Roma in 100 centimetriquadri”, evento curato da Spazio 40 Art di Roma e organizzato da Tina Loiodice e Fabrizio Ena, in programma dal 22 agosto al 3 settembre. La location sarà anche quest’anno la Galleria IL LABORATORIO di Via del Moro 49 a Trastevere.

I gatti di Tina Loiodice

Tina Loiodice, artista romana di grande talento e autrice anche di molte opere di street art, ad esempio la Tigre dipinta nella stazione San Giovanni della metro A, oppure in murale disegnato per il liceo scientifico “Francesco d’Assisi”, è l’ideatrice di “Roma in 100 centimetri quadri”, una collettiva che ogni anno raccoglie e propone le opere di tanti artisti. L’evento, giunto alla nona edizione, quest’anno vede protagonisti i gatti di Roma, gli animali simbolo della Capitale.

I gatti di Dario Cali’

Tina Loiodice, come mai ha organizzato una mostra dedicata ai “gatti de Roma”?


“Perché i nostri amici felini sono da sempre parte integrante del tessuto socio-urbano della città.
Nell’ antica Roma i gatti erano ospitati nei templi dedicati a Diana, dea delle selve e degli animali selvatici, e in quelli dedicati a Iside, nel cui culto, di provenienza egizia, i gatti venivano addirittura venerati come animali magici. E così , secolo dopo secolo, fino ai giorni nostri i gatti sono stati parte di Roma. Nel Rione Pigna, al centro di Roma, ancora oggi si può ammirare su Palazzo Grazioli la statua di una gatta in pietra, rinvenuta durante scavi archeologici e poi posizionata su un cornicione.
I gatti sono animali liberi, indipendenti, socievoli se ne hanno voglia. A Roma sono tantissimi, se ne vedono ovunque; nelle aree archeologiche più importanti li trovi a godersi i raggi del sole e, apparentemente indifferenti, a ricevere le coccole e le attenzioni dei passanti”.

I gatti di Tiziana Di Bartolomeo


I gatti sono molto amati dai romani e immagino, anche da lei.

“In città esistono numerose “colonie feline”, aree dove i gatti possono vivere tranquillamente sotto il controllo di associazioni di volontariato. La più grande è quella di Torre Argentina; sembra che nel 1929, durante gli scavi archeologici, un’enorme quantità di felini si sia installata nell’area e da allora non si è più spostata. Ma ce ne sono altre sparse per tutta la città : alla Piramide Cestia nei pressi del Cimitero Acattolico, a Montesacro, al Verano, a Piazza Vittorio, dove i gatti sono considerati da molti i “custodi” della Porta Alchemica.
E che dire poi dei tanti personaggi famosi, dell’arte, dello spettacolo e della cultura, innamorati dei gatti e immortalati da immagini significative ? Pensiamo a Gina Lollobrigida, ad Anna Magnani, che si recava personalmente a sfamare i gatti di Torre Argentina; nel film “Gli Aristogatti” della Disney, uno dei personaggi centrali è Romeo, gattone rosso che si definisce “er mejo der Colosseo” ; e poi il poeta dialettale Trilussa, che scrisse numerosi sonetti con i felini protagonisti, “personaggi” parlanti che con il loro carattere indipendente calzavano benissimo alla sua graffiante satira socio-politica.

Quindi tema della rassegna è Roma , i suoi monumenti, i suoi scorci , i personaggi o i particolari di cui la città è ricca … e i gatti”.

I gatti di Cristina Paladino

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