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MARCIAPIEDE. UNA STORIA VERA DI PROSTITUZIONE INTERPRETATA DA CRISTINA GOLOTTA

https://www.youtube.com/watch?v=lYqD3CmJTJw

Cosa vediamo, quando passiamo in macchina e loro passeggiano avanti e indietro o sono sedute sul ciglio della strada? Vestite a volte di nulla, sono divise per zone: a Roma est sono per lo più africane, mentre nelle altre zone della Capitale quelle dell’ex blocco sovietico vanno per la maggiore. Sono corpi in vendita, pezzi di carne da comprare a poco prezzo, vittime della tratta di esseri umani, persone che spesso facciamo finta di non vedere. Sotto il trucco è difficile dar loro un’età precisa, ma una cosa è certa: i clienti le vogliono giovani, anzi più lo sono e meglio è. E quando arrivano ai quaranta, diventano troppo vecchie e non le vuole più nessuno. Il mercato della prostituzione è questo: un grande giro di soldi sulla pelle delle donne. Cristina Golotta è l’attrice protagonista di “Marciapiede”, il corto di Christian Filippi tratto da una storia vera di prostituzione. Come ci ha raccontato: “Così andammo insieme (con il regista, n.d.r.) la sera prima di girare lungo Viale Palmiro Togliatti, e infine nel bar dove le prostitute si ristorano durante la notte fra un cliente e l’altro. È stato importante osservare l’espressione rassegnata dipinta sui volti di quelle donne, ragazze a volte giovanissime, ed è stato fondamentale entrare in quel bar per sentirmi una di loro, sentire lo sguardo degli uomini presenti all’interno che mi scrutavano interrogativi. Attraverso quegli sguardi ho compreso come si possano sentire queste persone il cui corpo non è più il contenitore della propria anima, ma l’oggetto attraverso il quale ci si può assicurare il soddisfacimento dei propri bisogni primari“. Abbiamo incontrato Golotta per parlare di prostituzione e della sua esperienza di attrice nel ruolo di una lucciola non più giovane.

L’attrice Cristina Golotta

Cristina Golotta, lei è stata la protagonista di “Marciapiede”. Quali sono state le emozioni che ha provato durante la lavorazione del corto?

“Marciapiede” è stato un vero e proprio viaggio, molto doloroso, dentro la carne e le emozioni di Liliana. Si dice più frequentemente che un attore interpreta un ruolo, ovvero sostiene una parte in un lavoro teatrale o in un film; nel caso di Liliana è più corretto usare il termine incarnare o impersonare, perché Liliana è un personaggio realmente esistito e presumibilmente esistente. Il regista, prima di scrivere la sceneggiatura, si è documentato ed ha raccolto testimonianze nella zona di Viale Palmiro Togliatti a Roma, tristemente nota per il gran numero di prostitute presenti nelle ore notturne e non solo. Lì ha conosciuto Liliana (il nome è di pura fantasia) ed è rimasto fortemente colpito dalla sua storia. Liliana ha 51 anni e, come tutte le sue colleghe del resto, paga lo scotto dell’età che avanza, fatica a trovare i clienti che si dirigono più felicemente verso le prostitute più giovani. E’ disperata, sa di non essere più piacente come nel passato ed accetta di andare con i clienti più promiscui, quelli scartati dalle sue colleghe, ben sapendo che la sua vita potrebbe essere messa in serio pericolo. Sperimenta la paura, la solitudine, il senso di inadeguatezza.. sa che quel lavoro che ha svolto per molto tempo non può più soddisfare i suoi bisogni primari, dovrà reinventare la sua vita ma non sa ancora come e se riuscirà nell’impresa. Vive una situazione di confino emotivo, psicologico e affettivo ma conserva sempre una grandissima dignità anche quando la sua esperienza umana le fa toccare i gradini più bassi. Incarnare questo personaggio è stata una delle esperienze più dolorose che mi sia mai capitato di vivere a livello professionale, ha lasciato dei segni profondi nella mia psiche e nel mio corpo. C’è una scena di violenza all’interno del corto che mi ha lasciata piena di lividi per una settimana e ricordo che a fine riprese ho faticato molto per ritrovare la giusta distanza da quel personaggio che aveva messo a dura prova il mio equilibrio psicofisico. Dovevo scrollarmi di dosso tutto quel dolore, che non va inteso in senso figurato, era un dolore fisico, psicologico, emotivo. Per sentirmi pronta per affrontare le riprese chiesi al giovane regista, il ventitreenne Christian Filippi, di poter visitare i luoghi nei quali lui aveva raccolto la documentazione fatta di svariate interviste. Così andammo insieme la sera prima di girare lungo Viale Palmiro Togliatti, e infine nel bar dove le prostitute si ristorano durante la notte fra un cliente e l’altro. È stato importante osservare l’espressione rassegnata dipinta sui volti di quelle donne, ragazze a volte giovanissime, ed è stato fondamentale entrare in quel bar per sentirmi una di loro, sentire lo sguardo degli uomini presenti all’interno che mi scrutavano interrogativi. Attraverso quegli sguardi ho compreso come si possano sentire queste persone il cui corpo non è più il contenitore della propria anima, ma l’oggetto attraverso il quale ci si può assicurare il soddisfacimento dei propri bisogni primari”.

Ritiene che il lavoro attoriale possa contribuire a diffondere una maggior consapevolezza di cosa significa avere una relazione sana?

“Per rispondere a questa domanda prendo volentieri a prestito una frase di Elio Germano “Bisognerebbe fare Teatro nelle scuole, perché l’esercizio di mettersi nei panni degli altri ci può far diventare una società migliore”. Cosa vuol dire mettersi nei panni degli altri se non accogliere l’altro nella propria vita, sospendendo il giudizio? Questo amplifica la propria capacità di entrare in empatia con tutto ciò che è altro da sè. Il Teatro impone poi, non solo di mettersi nei panni degli altri, ma di porsi in relazione con gli altri: il pubblico, i propri partner di scena o comunque i propri collaboratori. Il lavoro attoriale mostra tutte le possibilità di relazione, in un certo senso funge da specchio, quelle sane e quelle malate; così facendo contribuisce certamente a diffondere una certa consapevolezza in merito alle nostre possibilità di relazionarci con gli altri”.

Cosa vorrebbe dire a quelle donne che stanno vivendo una relazione nella quale emergono elementi pericolosi di criticità?

“La prima cosa che direi loro è che devono imparare a darsi valore, io me lo ripeto quotidianamente e penso di non essere neppure a metà di questo percorso. Spesso le donne sopportano rapporti cosiddetti malati o tossici perché pensano profondamente di non meritare di meglio. Purtroppo noi donne, e in questo non faccio eccezione, ci portiamo dietro un fardello molto pesante fatto di scarsa autostima e insufficiente fiducia nelle proprie possibilità. E’ un atteggiamento derivante dalla nostra storia, la storia delle donne, fatta di privazioni, di abnegazione, di rinunce. Dobbiamo cominciare a prenderci i nostri spazi: Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé” sottolinea quanto quello spazio della stanza è sì uno spazio fisico, ma è al contempo uno spazio mentale fatto di tempo a disposizione da poter dedicare alla creazione, nonché di mezzi di sostentamento, ovvero una certa indipendenza economica che possa garantire la serenità necessaria all’espressione della propria creatività. Per concludere consiglierei a quelle donne di cominciare a ritagliarsi una stanza tutta per sé, per usare le parole della Woolf”.

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VINCENT VAN GOGH INCONTRA ANTONIO LIGABUE. DUE AUTORITRATTI A CONFRONTO. ROMA PALAZZO BONAPARTE DAL 1 AL 12 MARZO


In copertina: Antonio Ligabue, Autoritratto con berretto da motociclista, s.d. (1954 – 1955). Olio su tavola di faesite, cm 80×70. Collezione privata
Vincent van Gogh
Autoritratto, Parigi, aprile – giugno 1887. Olio su cartone, cm 32,8×24. © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

In occasione della mostra “Antonio Ligabue” che aprirà al pubblico il prossimo 25 marzo al Castello aragonese di Conversano, dal 1 al 12 marzo 2023 Palazzo Bonaparte di Roma ospita un confronto del tutto inedito tra due Autoritratti di due artisti tanto distanti quanto simili per destino e voglia di riscatto.

1 – 12 marzo 2023
Palazzo Bonaparte, Roma

Antonio Ligabue: il Van Gogh con la moto rossa”: questo il titolo dell’articolo del 12 marzo 1961 comparso su “Epoca” a firma dalla giornalista, saggista e scrittrice italiana Grazia Livi a seguito alla memorabile mostra alla Barcaccia di Roma presentata da Giancarlo Vigorelli.
L’esposizione romana consacrava il lavoro di Antonio Ligabue e veicolava per la prima volta, oltre i confini emiliani, l’asprezza espressionista del pittore di Gualtieri. In occasione della mostra Antonio Ligabue (che aprirà al pubblico il prossimo 25 marzo al Castello aragonese di Conversano), dal 1 al 12 marzo, presso la mostra “Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum” a Palazzo Bonaparte di Roma sarà ospitato un dialogo del tutto inedito tra due Autoritratti proprio dei due artisti, così tanto distanti quanto simili per destino e voglia di riscatto. Un confronto ideato da Francesco Negri per onorare il lavoro svolto dal padre Sergio nel corso della sua vita.
Potrebbe risultare difficile immaginare delle affinità, o anche solo dei semplici punti di contatto, tra due autori tanto diversi: se Van Gogh è dotato di uno spirito superiore che lo porta oltre il reale e nella sua arte è riscontrabile una matrice letteraria, Ligabue mette il suo istinto davanti alla natura e avvia un convulso e furioso dialogo con il colore. E proprio nell’uso del colore, nell’inquietudine inesorabile che li pervade e in quel disadattamento personale che riescono a superare solo dipingendo vanno ricercati i motivi di tangenza tra i due artisti, al di là della tecnica pittorica e di quanto abbiano rappresentato sulla tela.
Più l’anima è straziata, più i colori diventano brillanti.

Vincent in una lettera alla sorella Willemien scrive: “Più divento brutto, vecchio, cattivo, malato e povero, più desidero riscattarmi facendo colori brillanti, ben accostati e splendenti” e lo stesso vale per Ligabue, il cui animo soffocato dal dolore si libera dagli incubi che ha dentro, avviando un convulso e furioso dialogo con il colore, creando capolavori di un’arte primitiva e istintiva e di una brutalità senza filtri.Van Gogh e Ligabue, esclusi da una società creata dagli uomini, condividono una solitudine senza appigli che riesce a scongiurare la disperazione solo attraverso la pittura.
Non stupisce dunque, come documenta questo confronto, che entrambi sentano la necessità di riprodurre la propria immagine più volte, come a voler dare prova della loro esistenza in un mondo che li ha emarginati e con lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore.

Dialoghi o conflitti fra la coscienza e la percezione visiva del proprio volto … Ed è proprio in questo senso che alcuni dei grandi espressionisti, oltre a Van Gogh, hanno analizzato se stessi davanti a queste superfici dipingendo decine e decine di autoritratti, con l’intento di riversare in essi le angosce e i tormenti che li affliggevano” scrive Sergio Negri, il maggior esperto di Antonio Ligabue, nel catalogo generale dei dipinti a sua cura edito da Electa nel 2002. Ragione e istinto; conoscenza raffinata e foga animale; un’unica disperata solitudine.
I due artisti sono accomunati da un’unica disperata solitudine, uno stato generato dalla disillusione di credere alla bontà della natura, entrambi vedono l’universo per quello che è e ne dipingono la brutalità senza filtri.Due artisti che, seppur in maniera diversa, col proprio linguaggio e proprie opere sono stati in grado ugualmente di penetrare l’anima e di nutrire la fantasia degli spettatori.



Sede
Palazzo Bonaparte
Piazza Venezia, 5 (angolo Via del Corso)
00186 – Roma

Biglietti
Intero € 18,00 (audioguida inclusa)
Ridotto  € 16,00(audioguida inclusa)

Informazioni e prenotazioni
T. + 39 06 87 15 111

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ARTE: PER LA PRIMA VOLTA A MILANO LA MOSTRA DEDICATA AL GENIO DELLA VIDEOARTE BILL VIOLA

Dal 24 febbraio al 25 giugno 2023 Palazzo Reale di Milano presenta un’importante esposizione dedicata a quello che è considerato già dagli anni Settanta il maestro indiscusso della videoarte: BILL VIOLA.

La mostra BILL VIOLA, promossa dal Comune di Milano-Cultura, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale Arthemisia con la collaborazione del Bill Viola Studio e ripercorre l’intera carriera artistica di Viola, presentando al pubblico quindici capolavori all’interno delle sale di Palazzo Reale.

Bill Viola Water Martyr , 2014 Color high-definition video on flat panel display mounted vertically on wall 107,6×62,1×6,8 cm 7:10 minutes Executive producer: Kira Perov Performer: John Hay Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Nato a New York nel 1951, di origini italo-americane, Bill Viola è riconosciuto a livello internazionale come l’artista che, attraverso la sperimentazione della videoarte, ha realizzato opere uniche, considerate a tutti gli effetti dei capolavori dell’arte contemporanea.
Partendo dallo studio della musica elettronica, dalle potenzialità della performance art e dai film sperimentali, da oltre 40 anni Viola realizza lavori che, attraverso un nuovo linguaggio artistico, si rivolgono costantemente alla vita, alla morte e al viaggio intermedio, per poter indagare una più profonda conoscenza dell’uomo e il suo rapporto con l’ambiente, le influenze della filosofia orientale e occidentale, l’importanza iconica del mondo naturale e molte altre tematiche.
L’esperienza del viaggio, per Viola, è fondamentale nello sviluppo del suo lavoro. Prendendo spunto dalle realtà che incontra nei suoi viaggi in giro per il mondo con la moglie Kira Perov, tra gli anni Settanta e Ottanta, Viola delinea il suo percorso artistico e giunge alla creazione di opere che avvolgono l’osservatore con composizioni e suoni, cercando di rappresentare le infinite possibilità della psiche e dell’animo umano.

1 Bill Viola Catherine’s Room , 2001 Color video polyptych on five LCD flat panel displays mounted on wall, 38x246x5,7 cm 18:39 minutes Performer: Weba Garretson Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio 2 Bill Viola Emergence , 2002 Video installation Color high-definition video rear projection on screen mounted on wall in dark room Projected image size: 213×213 cm 11:40 minutes Performers: Weba Garretson, John Hay, Sarah Steben Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio


Tra questi, fondamentali tappe sono i 18 mesi trascorsi a Firenze, dove incontra per la prima volta l’arte rinascimentale. Nel 1997, durante un progetto di ricerca del Getty, ha continuato a esplorare l’iconografia cristiana antica, con particolare attenzione all’immaginario medievale, rinascimentale e manierista in un dialogo continuo con pale d’altare, polittici e dipinti votivi di artisti antichi. Viola ha poi proposto una nuova composizione dell’immagine attraverso la costruzione di elaborate scene teatrali ispirate alla tradizione storico-artistica occidentale, cinematografica nel vero senso della parola, con ambientazioni, attori, scenografie, disegno luci, fotografia – e anche un regista.
Fuoco e acqua – elementi simbolici per il passaggio dalla vita alla morte, così come da questa vita all’altra; il mondo digitale; un mondo visivo immateriale; un’esistenza dipendente da impulsi di elettricità: tutto richiama alla mente la fragilità e la fugacità della natura umana.

La mostra milanese offre ai visitatori un percorso in cui ritrovarsi a contemplare le profonde questioni che Bill esplora con immagini al rallentatore in cui luce, colore e suono possono creare momenti di profonda introspezione. Emozioni, meditazioni e passioni possono emergere dai suoi video, accompagnando lo spettatore in un viaggio interiore.
Questa dimensione emerge, ad esempio, nella serie dei suoi video Passions (opere di chiaro richiamo al Rinascimento italiano) che al rallentatore catturano ed estendono dettagli di emozioni umane impossibili da vedere in tempo reale, o in Ocean Without a Shore (2007), opera nata a Venezia nella chiesetta sconsacrata di San Gallo che descrive una soglia metaforica del momento di transizione in cui la vita diventa morte.

Bill Viola Fire Martyr , 2014 Color high-definition video on flat panel display mounted vertically on wall 107,6×62,1×6,8 cm 7:10 minutes Executive producer: Kira Perov Performer: Darrow Igus Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio


Insieme a questi, anche l’incontro virtuale tra uomo e donna in The Veiling (1995); il diluvio improvviso e terrificante al centro di The Raft (maggio 2004), installazione che ricorda l’importanza della collaborazione umana per poter sopravvivere a catastrofi naturali o crisi inaspettate; la serie Martyrs (2014) nella coraggiosa lotta di quattro protagonisti nella morsa dei quattro elementi naturali, man mano che riescono ad accettare il loro inevitabile destino.
E ancora il video-dittico di proiezioni su lastre di granito nero Man Searching for Immortality/Woman Searching for Eternity (2013) e opere, parte della serie Tristan (2005), che raffigurano l’intensità visiva e uditiva della trasfigurazione del fuoco e dell’acqua accanto a opere raramente esposte in territorio italiano come The Quintet of the Silent (2000), permettendo così al grande pubblico di godere di vari contenuti esclusivi.

Con la sapiente cura di Kira Perov, moglie dell’artista e direttore esecutivo del Bill Viola Studio, opere che coprono trent’anni di lavoro sono esposte attraverso un’accurata selezione di lavori, andando a definire un evento unico per concedersi la possibilità di riflettere sulla vita, intraprendere il proprio viaggio interiore e immergersi in un mondo alternativo, del tutto diverso da quello che si è lasciato all’ingresso.

La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Skira, a cura di Valentino Catricalà e Kira Perov, che non si presenta solamente come documentazione della mostra, ma vuole rappresentare un vero e proprio materiale di studio per future generazioni.

L’evento vede come media partner Urban Vision e come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.

La mostra è parte di Milano Art Week (11 – 16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività.

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IL DOLCE LUNEDI’: NON T’AMO COME SE FOSSI, DI PABLO NERUDA

GUARDA IL VIDEO E ASCOLTA LA POESIA INTERPRETATA DA ALESSIO PAPALINI

Video: @Emilio Spataro

NON T’AMO COME SE FOSSI, DI PABLO NERUDA

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio

o freccia di garofani che propagano il fuoco:

t’amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca

dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;

grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo

il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,

t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:

così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,

così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,

così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

da Cento sonetti d’amore (Firenze Passigli, 1996)

Licenza musica:

Title: Smile on

Author: Peter Rudenko (https://freemusicarchive.org/music/Peter_Rudenko/Incomplete/01_-_Peter_Rudenko_-_Smile_On/)

Source: Free Music Archive

License: CC BY Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)

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MAURIZIO COSTANZO. QUANDO CI LASCIA UNO DI FAMIGLIA @ I PENSIERINI DI MAVA FANKU’

Ascolta dalla voce di Mava

Detesto fare i necrologi delle persone famose che vanno via. Da opinionista non lo farei mai per pudore e rispetto. Se non in casi straordinari, quando provo un coinvolgimento emotivo. E voglio ricordare chi mi lascia un’eredità così importante, culturale e affettiva, come Maurizio Costanzo.

Un uomo innanzitutto, che ha avuto la capacità di restare tale anche come professionista, inventandosi un modo nuovo e umanizzato di fare giornalismo.

Non per farne il santino, adesso che ci ha lasciati senza preavviso, che di difetti ne aveva tanti il ficcante Maurizio, ma utilizzava anche quelli per valorizzare i suoi pregi, mettendoli a disposizione degli altri, con un’informazione sempre curiosa di umanità.

Anche quando intervistava le persone famose, ma sopratutto quando dava la parola agli sconosciuti, inventando il primo talk show della storia televisiva. Ed è questa la sua genialità.

Come tantissimi fans del suo famigerato “Maurizio Costanzo Show”, che ci ha accompagnati per decenni, ne ricordo le tante persone sconosciute, che poi sono diventate popolari grazie al suo modo di metterle in evidenza nei loro aspetti umani, intraprendendo carriere artistiche di tutto rispetto.

Ma la cosa che più mi divertiva mentalmente erano, oltre alle sue intime interviste, i suoi “Uno contro tutti” di personaggi controversi, dalle stelle alle stalle, ma sempre interessanti: da grandi artisti intellettuali come Carmelo Bene e Vittorio Gasmann, ad altri discutibili protagonisti della cultura/spettacolo, talvolta stucchevolmente egocentrici, come Vittorio Sgarbi, che senza di lui non sarebbero proprio esistiti, se non su qualche notiziola di basso gossip.

E voglio sottolineare anche che i personaggi davvero importanti dello spettacolo, come, ad esempio, Alberto Sordi e Monica Vitti, restii alla mondanità televisiva, si concedevano solo a lui.

“Generoso” – se avessi il dono della sintesi, è il primo aggettivo che mi viene in mente, pensando a Costanzo, avendo fatto molto per gli altri, e per se stesso una cosa in particolare:

lui che ha messo sempre le donne al centro della sua esistenza, facendone l’elemento cardine, sceglie di sposare la sua assistente personale, Maria De Filippi, la donna più importante della sua intensa vita amorosa. La sua anima gemella.

Come disse in una intervista, con la sua proverbiale auto-ironia: “mi sono sposato quattro volte, ce ne ho messo di tempo per trovare quella giusta. Non si può riuscire al primo colpo”.

Il loro non sarà stato un matrimonio motivato dall’amore passionale dei romanzi d’appendice, forse per via della tanta differenza d’età, ma su “Affetto e Rispetto”, ed è un’unione durata per l’ultimo trentennio.

“L’affetto, che non è l’amore, è una cosa più seria”.

Grazie Maurizio.

Mava Fankù

@Photo TV
Se telefonando – parole di Maurizio Costanzo – musica di Ennio Morricone – canta Mina

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VIDEOTAROCCHI: MEDITIAMO SUL GIUDIZIO PASSEGGIANDO A ROMA

Questo appuntamento coi Tarocchi si svolge attraverso la città di Roma e in particolare con i riferimenti alla Carta del Giudizio che possono trovarsi nel Museo delle Anime del Purgatorio, che fa parte del complesso della chiesa di Nostra Signora del Suffragio al quartiere Prati. La raffigurazione del Giudizio nei Tarocchi è strettamente legata alla concezione cristiana della resurrezione e, quindi, del cammino di penitenza che l’anima deve compiere prima di poter ascendere a livelli spirituali più alti. Così, gli oggetti conservati del museo, possono rappresentare un canale di comunicazione tra il piano materiale e quello etereo.

https://purgatorio.altervista.org/index.php/archivio/articolo/altre-testimonianze-dal-purgatorio/307/museo-delle-anime-del-purgatorio-roma

La chiesa di Nostra Signora del Suffragio a Roma

Il giudizio è qualcosa a cui tutti siamo sottoposti continuamente; inteso in senso tarologico, la Carta al diritto ci parla di rinascita, di buone notizie, di guarigione, del ridestarsi della coscienza, del tornare alla luce e annuncia un giudizio favorevole sulla questione posta ai Tarocchi. La Carta potrebbe parlare anche di capacità medianiche, di passione per la musica e di quelle che sono le nostre vocazioni. Al contrario, il significato si negativizza.

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VIDEOPOESIA LIBRI, DI HERMANN HESSE. LETTURE DEL SABATO

In copertina: Donna con libro, Tamara De Lempicka

ASCOLTA IL PODCAST DI ALESSIO PAPALINI

video di @Emilio Spataro

Libri, di Hermann Hesse

Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
ti rinviano a te stesso.

Lì c’è tutto ciò di cui hai bisogno,
sole stelle luna.
Perché la luce che cercavi
vive dentro di te.

La saggezza che hai cercato
a lungo in biblioteca
ora brilla in ogni foglio,
perché adesso è tua.

HERMANN HESSE, La felicità. Versi e pensieri (Milano, Mondadori 2010)

Licenza musica:

Title:
Sonata No. 32 in C Minor, Op. 111 – II. Arietta Adagio molto semplice e cantabile
Author: Daniel Veesey
Source: https://freemusicarchive.org/music/Daniel_Veesey/Beethovens_Sonata_No_32_in_C_Minor/Sonata_No_32_in_C_Minor_Op_111_-_II_Arietta_Adagio_molto_semplice_e_cantabile/
License: Public domain (CC PD)
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ASSOLTO L’IMPERATORE SILVIO PER RUBY @ I PENSIERINI DI MAVA FANKU’

Che il nostro empatico Re Silvio potesse arrivare a farsi organizzare edonistiche feste con uso di cortigiane, procurate da fedeli servitori, nella sua Reggia di Arcore, se ne vocifera dall’inizio del suo regno.

Il regista Sorrentino ne ha fatto un sontuoso film in due capitoli, nel quale mostra anche l’aspetto umano di Silvio, capace di grande tenerezza come di grande cinismo.

E non ci sarebbe alcun reato tra adulti consenzienti nel divertire e far divertire gli invitati ai suddetti baccanali, come usavano fare gli imperatori dell’antica Roma, da Caligola a Nerone.

Perchè tanto la nostra Italietta, si sa che non è un Paese bigotto con i regnanti, ma solo con i sudditi.

Se non fosse stato per un incidente di percorso, in cui incorse il nostro generoso Silvio, che si dice abbia sistemato tante povere ragazze, non certo assoldandole come prosaiche peripatetiche, ma facendo loro regali importanti, come, che so, un Salone di Bellezza per intraprendere una redditizia attività lavorativa.

Perciò, questo bisogna dirlo, c’è anche un’aura benefica che aleggia sul capo del nostro, stavo per dire canuto ma, non c’è pece più nera della stampa dei capelli sul cuoio capelluto del nostro ex chansonnier show men, che da giovane si esibiva su navi da crociera; e come ci piace sentirlo cantare con una suadente inflessione lombardo-francese “ce ci bon, ce petite sensation”!

Immagini tratte dal film “Loro” di Paolo Sorrentino

Insomma, il Premier Berlusconi era inciampato in un affare pruriginoso, detto “Caso Ruby”: al secolo Karima, la presunta nipotina, all’epoca di poco minorenne, del presidente egiziano Mubarack, che sarebbe entrata nelle grazie del Cavaliere, scoperchiando fatalmente il godereccio ginepraio del così detto “Bunga-Bunga”.

Oggi l’avvenente Karima ha trent’anni e ha scritto un libro sulla sua vicenda.

Dopo quasi un decennio di processi e indagini, con presunte false testimonianze, ricatti trasversali, e accuse di corruzione in atti di ufficio, del genere che il nostro Silvio avrebbe tentato di corrompere decine di giovani testimoni, assicurando loro un cospicuo reddito mensile, più vari benefit, come contratti televisivi, ricchi premi e cotillons, si è arrivati alla sua piena assoluzione perché “il fatto non sussiste”, mentre altri imputati hanno avuto la piena e definitiva condanna.

E come capita solo a certi potenti, che possono compiere miracoli ribaltando le loro sorti, anche quando sono stati i più indagati, processati e assolti del Pianeta, tutto finisce a tarallucci e vino, o tisane depurative, data l’età.

Anche se la pensione politica, con annessa santificante pace dei sensi sembrano, e mi auguro siano, ancora lontane per il nostro sempiterno Imperatore.

Mava Fankù


“Ma te che cosa ti aspettavi? Di poter essere l’uomo più ricco del Paese, di fare il premier e anche che tutti ti amassero alla follia?..
Sì, io mi aspettavo proprio questo“.


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RIDIAMOCI SU CON UNA PASQUINATA – SEMPLICEMENTE ROSELLA

Scrivere pasquinate mi diverte perchè è il modo più ironico e scanzonato di parlar delle debolezze umane senza offendere alcuno. sono sicuramente ispirate a situazioni che ho vissuto ma non facendo nomi mi permettono di dire la mia, di superare una delusione, di dare stoccatine senza entrare in polemica con nessuno. Nascono da una delle mie passioni, quella per la romanità e la figura di Pasquino, il satirico epigrammatico del tempo di Roma papalina fu appunto colui del quale mai fu scoperta l’identità che, affiggeva su una statua dei scritti in rima che facevano satira sulla chiesa, sul governo, sul popolo. Mi sono ispirata a lui e essendo anch’io romana ne ho sposato la modalità e mi diverto quando qualcosa o qualcuno mi stimolano la vena ironica che trovo sia la migliore opportunità di offrire spunti di riflessione. La Pasquinata che propongo parla della coerenza che per molti è solo una parola  della quale si riempiono la bocca senza però tradurla in azioni che ne dimostrino la presenza. Detto in due parole: coloro che chiaccherano tanto ma concludono poco.

“Le pasquinate di Rosella ” – raccolta 2021

Troppi  furono gli assenti il dì che fu dispensata la coerenza

ma passato il tempo di tal retribuzione

coloro privi non ne trassero lezione

fecero farsa di averne usando oratoria convincente 

così da confondersi tra chi ne avesse pur non avendone niente.  

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TEATRO PARIOLI DI ROMA: “QUASI AMICI” CON MASSIMO GHINI E PAOLO RUFFINI DAL 15 AL 26 FEBBRAIO

In copertina: photo @Serena Peia

15 | 26 FEBBRAIO 2023

MASSIMO GHINI, PAOLO RUFFINI

in

QUASI AMICI

dal film “Quasi amici” di Eric Toledano e Olivier Nakache

adattamento e regia Alberto Ferrari

con Claudia Campolongo, Francesca Giovannetti, Leonardo Ghini, Giammarco Trulli, Alessandra Barbonetti, Diego Sebastian Misasi

scene Roberto Crea

costumi Stefano Giovani

disegno luci Pietro Sperduti

musiche Roberto Binetti

Assistente alla regia Cristiano Malacrino

amministratore compagnia Stefano De Leonardis

organizzazione CARMELA ANGELINI

produzione esecutiva MICHELE GENTILE

Lo spettacolo “Quasi Amici” (dal film “Quasi amici” di Eric Toledano e Olivier Nakache) è una storia importante, di quelle storie che meritano di essere condivise e raccontate. Anche con il linguaggio delle emozioni più̀ profonde: quello teatrale. Protagonisti Massimo Ghini e Paolo Ruffini, adattamento e regia Alberto Ferrari. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Parioli, dal 15 al 26 febbraio 2023. In scena con Ghini e Ruffini: con Claudia Campolongo, Francesca Giovannetti, Leonardo Ghini, Giammarco Trulli, Alessandra Barbonetti, Diego Sebastian Misasi.

Note di Alberto Ferrari

Un adattamento per il teatro del soggetto e della sceneggiatura di Quasi amici è affascinante perché́ permette di dilatare, in drammaturgia teatrale, quelle emozioni che nascono per il cinema con un altro linguaggio, non solo visivo, ma anche filmico. Emozioni che devono irrobustirsi però con parole e simboli precisi sul palcoscenico per poter rimandare tutti noi a un immaginario condiviso con il quale far dialogare il proprio. E partecipare.

Ed è straordinario raccontare ancora più̀ nell’intimità̀ delle parole, degli scambi, delle svolte narrative, delle luci, dei movimenti, che solo una drammaturgia teatrale può̀ cogliere e restituire, dando il senso profondo di una grande amicizia in fieri. Osservando poi il percorso che compiono i due protagonisti per crescere, ognuno nella rispettiva vita e in quella dell’altro e di come uno diventi assolutamente necessario all’altro per poter proseguire indenne, o quasi, il proprio cammino su questa terra. Due uomini talmente diversi da costituire una teorizzazione dell’antimateria. Due particelle che potrebbero portare a un’esplosione, un annichilimento delle proprie personalità̀ e invece avviene il miracolo. Ed è questo Miracolo laico che vorrei raccontare.

Un uomo molto agiato, ricco, molto ricco, troppo ricco, intelligente, affascinante; un uomo che vive di cultura e con la cultura vive, che si muove e conquista e soddisfa il proprio ego narcisistico con il cervello più̀ che con il corpo. Un uomo a cui il destino ha voluto, per contrappasso, relegare a solo cervello, facendolo precipitare con il parapendio e fratturandogli la quarta vertebra cervicale e riprendendosi il corpo. Quel corpo, che era solo un bagaglio della mente, ora nell’assenza, diventa il fantasma di un’identità̀ da inseguire e recuperare.

E un altro uomo che entra ed esce di galera, sin da ragazzino, svelto, con una sua intelligenza vivace e una cultura fatta sulla strada e nei film di serie b, che ha visto. Ma decisamente smart. Un uomo che preferisce porre il suo corpo avanti a tutto e lasciare il cervello quieto nelle retrovie. Un corpo che, da subito, ha cercato di farsi strada nelle periferie degradate, in cui un’incertezza diventa come in natura, essenziale per determinare il proprio posto nella catena alimentare. Un predatore che in realtà̀ è una preda delle proprie debolezze. Un uomo che si è privato della carica del cervello che avrebbe potuto essere per lui determinante.

Questi due uomini si incontrano per un caso e questo caso farà̀ sì che diventino uno per l’altro indissolubili, l’uno indispensabile alla vita dell’altro e lenitivo alla ferità fatale che ognuno ha dentro di sé. Non lo sanno ma loro possiedono un dono che ognuno può̀ donare all’altro: la leggerezza.

Come in Pigmalione assistiamo per osmosi a un’educazione alla vita e alla cultura e un’istruzione alla leggerezza. È l’assenza di leggerezza, più̀ che la malattia, che tiene ancorato sulla sedia Philippe, la sua pesantezza della vita, della sua percezione del mondo, che lo inchioda a decisioni sbagliate con la figlia adottiva, con i suoi collaboratori, ma soprattutto con sé stesso.

Non si perdona mai. Da cosa non si è ben capito. Dalla difficoltà di vivere?

E l’altro uomo che ha fatto della sua leggerezza un modo per non occuparsi di nulla, di scansare ogni problema, ogni profondità̀, ogni disagio. Una leggerezza frivola, gassosa, che lo porta a risolvere tutto con il corpo, fisicamente e caso strano, pesantemente. Una leggerezza che ha la pesantezza di un dirigibile senza l’idrogeno. Una leggerezza senza controllo.

Paul Valéry ha detto: «Il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume».

Uno usa il corpo e uno la mente. Occorre una ridistribuzione totale dei talenti. Nell’adattamento teatrale il ruolo di Philippe, l’uomo sulla sedia, dovrà̀ essere riequilibrato, perché́ nella versione cinematografica è molto sbilanciato il racconto a favore di Driss, l’uomo che arriva ad aiutarlo.

Nella versione teatrale i due ruoli saranno equiparati per poter scavare molto di più̀ nel loro rapporto e nella loro ricerca di questa leggerezza calviniana che ci faccia emozionare, godere e ridere fino alle lacrime se necessario e alle lacrime anche arrivare nelle emozioni profonde, sulle loro riflessioni, sulla loro vita e sulle loro backstory.

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