8 June 2023

EDITORIALE

MAI DIRE FASCISMO. SAVINO, VALDITARA E LA PAROLA PROIBITA

Durante i miei anni della scuola superiore, iniziata a Roma nel 1980, sebbene l’istituto che frequentavo non fosse molto politicizzato, per lo meno rispetto ad altri come il Sarpi o il Giulio Cesare, anche da noi erano presenti attivisti di destra e di sinistra. Due in particolare non perdevano occasione per fare scintille: Eskimo e Rayban. Il primo era espressione della sinistra; il secondo della destra dura e pura. Fino al 1983, anno in cui entrambi si diplomarono, gli scontri furono all’ordine del.giorno così come i ritrovamenti di volantini delle Brigate Rosse o degli allarmi bomba diramati strategicamente durante l’ora di matematica.

Altri tempi, certo: però vedere il pestaggio della scorsa settimana al Michelangiolo di Firenze con tanto di “Fascisti!” urlato da una voce fuori campo, può riportare indietro di anni. E fa bene la preside Savino a condannare il fatto, citando Gramsci, come del resto aveva fatto anche Fini durante la svolta di Fiuggi quando, dissociandosi insieme al nucleo fondatore dal fascismo, pronunciò queste parole: “Il patrimonio di Alleanza Nazionale è intessuto di quella cultura nazionale che ci fa essere comunque figli di Dante e di Machiavelli, di Rosmini e di Gioberti, di Mazzini e di Corradini, di Croce, di Gentile e anche di Gramsci”.

Perciò, se le cose stanno davvero così, ed è documentata la presenza di La Russa e Meloni a Fiuggi insieme a Fini, allora perché non c’è stata ancora ferma condanna dell’episodio? E se non c’è pericolo fascista, così come dichiarato dal ministro Valditara, allora perché la lettera della preside Savino è stata così fortemente contestata? Sarebbe bastato semplicemente aderire e condannare il gesto. Cosa che potrebbe ancora succedere. Noi, non possiamo fare altro che aspettare che avvenga.

Speriamo.

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SAMAN ABBAS: LA MADRE AMMETTE IL DELITTO

Quando una madre uccide un figlio, esprime un disagio che si cerca di definire come sintomo depressivo, o attimo di follia, o disperazione. La spiegazione del figlicidio spetta a psichiatri, psicologi e criminologi: tuttavia le persone vogliono sapere perché un tabù è stato infranto, cosa ha armato la mano di una madre, quali circostanze hanno portato alla decisione di uccidere.

Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, la ragazza diciottenne di Novellara sparita nel nulla il 30 aprile 2021, e sospettata della sua scomparsa, è stata intercettata in una chat col figlio minore, dove ammette la complicità nel delitto.

Le intercettazioni.

Pensa ai comportamenti di tua sorella…“. La frase è riferita ai dubbi espressi dal fratello in merito alle azioni del clan familiare contro Saman. Era stato proprio lui, pare, a mostrare ai genitori una foto della sorella, ritratta mentre baciava il fidanzato. Una foto bellissima e pulita, ritratto dell’amore di due ragazzi come tanti. Però la famiglia di Saman non era come tante: ancorata alle tradizioni e fondamentalista sul comportamento che i figli dovevano tenere nei confronti dei genitori, l’avevano promessa a un altro uomo, in Pakistan. Ai nostri occhi occidentali sembrerebbe quasi impossibile, una storia medievale, ma le cose purtroppo funzionano così, in alcuni contesti. E il disonore gettato sulla famiglia a causa del comportamento di Saman doveva essere lavato col sangue.

Il fratello, che vive in una comunità protetta, ed testimone chiave dell’accusa avendo indicato lo zio Danish Hasnain come l’esecutore materiale dell’omicidio, parla con la madre di altre due persone, non indagate, che secondo lui avrebbero istigato il padre nell’organizzazione dell’omicidio della sorella. Li ritiene responsabili moralmente per la morte di Saman, ma Nazia cerca di calmarlo: “Lasciali stare. Tu non sai di lei? Davanti a te a casa… noi siamo morti sul posto, per questo tuo padre è a letto e anche la madre (parla di sé in terza persona, ndr) a letto”. E ancora: “Tu sei a conoscenza di tutto – dice Nazia al figlio –. Pensa a tutte le cose, i messaggi che ci facevi ascoltare la mattina presto, pensa a quei messaggi, pensa e poi dì se i tuoi genitori sono sbagliati…“. E il figlio risponde: “Ora mi sto pentendo, perché ho detto…“, alludendo a quanto rivelato ai carabinieri. del padre Shabbar al fratellastro, al quale ammetteva: “L’ho uccisa io. L’abbiamo uccisa noi. Per la mia dignità. Per il mio onore…“. Poi la confessione del cugino Ikram Ijaz a un compagno di cella in carcere a Reggio Emilia: “Io e mio cugino la tenevamo ferma mentre Danish l’ha strangolata con una corda“. Poi con l’aiuto di una sesta persona, un uomo misterioso mai identificato, “abbiamo caricato il corpo su una bicicletta, fatto a pezzi e gettato nel fiume Po“.

Omicidio, non delitto d’onore

E’ giunto il momento di chiamare le cose col loro nome, e la morte di Saman non è un delitto d’onore, bensì un femminicidio. Descrivere l’uccisione della ragazza come qualcosa legato all’onore della famiglia, ne svaluta la portata e quasi lo giustifica.

A questo scopo, è bene sapere che con legge 442 del 5 agosto 1981, si è abolito il delitto d’onore in Italia, che era contemplato e punito secondo il Codice Rocco c.p. Art. 587 del 1930:
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”.

Intanto, la richiesta di estradizione rivolta al Pakistan per i due genitori, non è stata ancora evasa. Sembra che gli Abbas siano potenti in patria, e possano contare su una rete di protezione tale da non essere puniti per la morte di Saman.

INTERVISTA a S.E. ABDULAZIZ A SARHAN di STEFANIA CATALLO

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MAHSA AMINI. IL VELO INSANGUINATO

L’unica certezza è che Mahsa Amini è morta. Ventidue anni, in coma dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava bene il velo islamico. Una ragazza curda in gita a Teheran.

Iran, fine settembre 2022.

Nel web circola una foto di lei, intubata, nel letto di ospedale col viso apparentemente intatto. Come a dire: noi non l’abbiamo toccata, vedete? Ma esistono mille terribili modi per torturare, dal collo in giù. Ci siamo chiesti in questi giorni come sia possibile. Come si fa a morire per un hijab messo male.

Si può. Mahsa non era in Italia o in Occidente. Era in Medio Oriente, in uno stato islamico e con un governo religioso. Dimentichiamoci le nostre libertà. Dimentichiamoci del mondo che conosciamo.

Come dichiarato dal padre, Amjad Amini, i medici si sono rifiutati di fargli vedere Mahsa dopo il decesso: “Stanno mentendo. Stanno dicendo bugie. Tutto è una bugia… non gli importa quanto abbia implorato, non mi hanno permesso di vedere mia figlia”, ha detto alla Bbc Persia. Amini ha anche dichiarato che quando ha visto il corpo della figlia prima del funerale era completamente avvolto tranne il viso e i piedi, su cui c’erano lividi: “Non ho idea di cosa le abbiano fatto”, ha detto. La causa ufficiale della morte sarebbe attacco cardiaco, ma Mahsa non aveva mai avuto problemi di cuore.

Lavinia Mennuni, FdI, in un tweet parla di assordante silenzio delle femministe italiane rispetto a questa morte. Certamente la rassegna stampa che le viene inviata non è fatta bene. Oppure, è l’ennesima occasione per fare politica sulla pelle delle donne. Quelle morte.

Stefania Catallo

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STEFANIA CATALLO

Stefania Catallo, romana e fondatrice del centro antiviolenza Marie Anne Erize. Si occupa di storia orale e di diritti delle donne. Giornalista e scrittrice, ha pubblicato diversi libri, l'ultimo dei quali "Evviva, Marie Anne è viva!" (2018, Universitalia), ha ricevuto il Premio Orsello nella sezione Società.

Redazione:

EMYLIU' SPATARO

Emilio Spataro, in arte Emyliù, attore, chansonnier, fotografo, grafico. Di origine calabrese cirotana, vive a Roma. Opinionista e Web Master del Magazine.

SAVERIO GIANGREGORIO

Attivista ANPI e Amnesty International, femminista, si occupa anche di Jus Soli e della causa degli italiani senza cittadinanza. Segue dal primo giorno la vicenda di Giulio Regeni, di cui riporta l'amaro conteggio ogni giorno sui suoi profili social. Attivista ANPI per il senso di profondo rispetto verso coloro che ci hanno liberato da nazisti e fascisti. "Siamo una democrazia e indietro non dobbiamo tornare".

MAVA FANKU'

Opinionista disincantata, dotata di un notevole senso dell'umorismo e di una dialettica tagliente, Mava Fankù cura attualmente due rubriche, La Pillola Politica e I Pensierini di Mava, elzeviri su temi vari che ispirano la nostra signorina agèe, da poco anche in video, oltre che in podcast, oltre che in scrittura.

LORENZO RAONEL SIMON SANCHEZ

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Romano, educatore, formatore e appassionato di lettura e comunicazione. Attore del Teatro Studio Jankowski di Roma

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VENIO SCOCCINI

Diplomato all'Istituto Alberghiero Michelangelo Buonarroti di Fiuggi (FR) - Dopo una lunga esperienza in Italia, e all'estero come chef per personaggi di rilievo, sia in casa che su yacht, nel 2013 si è trasferito a Londra, dove ha appreso nozioni di cucina multietnica continuando a lavorare come chef privato.

ROSELLA MUCCI

Ho sperimentato il palco cimentandomi in progetti di Teatro Sociale tra il 2012 e il 2015 con testi sulla Shoa, sul femminicidio, sulla guerra. Il mio percorso teatrale è poi proseguito in autonomia quando ho sentito il desiderio di portare in scena testi scritti proprio da me.Tutti i miei scritti per scelta hanno come punto comune una ironia sana e leggera che aiuta il pubblico a riflettere sull'argomento proposto.

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