30 Settembre 2023

Stefania Catallo

VIDEOCOPERTINA – BUONE VACANZE DA THE WOMEN’ SENTINEL!

Qualche nostra copertina con il sottofondo musicale di “Un’estate al Mare” di @Giuni Russo

E’ già passato un anno da quando ci siamo affacciat@ sul web, con un progetto editoriale centrato sui temi scomodi o poco considerati dal mainstream. Abbiamo voluto dire la nostra adoperando ironia e diplomazia, usando un linguaggio comprensibile e curato, calibrando i commenti e aprendoci alle arti, all’attualità, alla politica, alla cucina, al cinema e al teatro, alla poesia, alla satira, al mondo femminile e a quello LGBTQ+. Vogliamo ringraziare i nostri lettori con il nostro video, augurando una buona estate e dando appuntamento alla fine di agosto con tante novità. Grazie alla redazione per questo anno passato insieme e per la crescita condivisa di cui tutti abbiamo giovato.

La direttora, Stefania Catallo

Copyright @2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata

BIO BEAUTY: HENNE, IL SEGRETO PER CAPELLI DA FAVOLA

In copertina: immagine web

Capelli danneggiati e spezzati? La deco ha stressato troppo la chioma? Niente paura: l’hennè è il segreto di bellezza in grado di risanare i capelli danneggiati, ricostruendone la fibra, irrobustendoli e dando loro nuova lucentezza. Provare per credere.

Cosa è l’hennè?

Questo colorante di origine vegetale deriva dall’essiccazione delle foglie della Lawsonia inermis, un arbusto che cresce in Medio Oriente, Africa settentrionale e regione indiana. Conosciuto fin dall’antichità – basti pensare che ne sono state ritrovate tracce nelle chiome meglio conservate delle mummie egiziane – viene impiegato per tatuaggi temporanei su mani e piedi in occasione di matrimoni e riti religiosi (mehndi) come atto beneaugurante; oppure per la tintura dei capelli. A seconda della zona di coltivazione, l’hennè può assumere sfumature diverse; fermo restando che il colore è rosso, questo sarà più tendente al mattone se proviene dal Pakistan e zone limitrofe, mentre sarà più ramato se è stato raccolto in Africa settentrionale. Il segreto di bellezza dell’henne’ deriva dal fatto che la Lawsonia si fissa sullo stelo del capello, rivestendolo e rendendolo più corposo, ed evitando quindi l’apertura delle squame, come invece accade con l’uso delle tinture chimiche.

Preparazione dell’hennè

La procedura è semplicissima: basta acquistare la polvere, che va unita ad acqua calda non bollente; poi si mescola il tutto finché non si ottiene una pastella morbida e senza grumi. L’odore che si sprigiona dal composto è di fieno appena tagliato e il colore della crema può variare dal verde scuro al marrone a seconda della qualità adoperata. Si procede quindi all’applicazione, come se fosse un colore chimico, stando attenti a non far cadere il prodotto, in quanto visto l’alto potere colorante, potrebbe macchiare oggetti e vestiti. La posa va fatta a seconda dell’intensità che si vuole ottenere, ma parte dai 30 minuti fino alle 3-4 ore. All’hennè puro, che darà quindi un riflesso rosso rame o mattone alla chioma, si possono aggiungere altre polveri in grado di virare il colore al castano (mallo di noce), al bruno (indigo), al rosso ciliegia (katam), tenendo conto che il risultato cambia da persona a persona, e in base allo stato di salute dei capelli. Si può hennare quante volte si desidera, anche solo come rituale di bellezza.

Hennè neutro

Per chi vuole beneficiare del potere curativo dell’hennè ma non ama il rosso, esiste la varietà neutra ossia la Cassia obovata o Senna italica. Si tratta di una polvere non tintoria e senza pigmento rosso che serve a rinforzare i capelli, dando loro forza e tono. L’hennè neutro ha inoltre un’azione seboregolatrice, aiutando molto i capelli grassi. Il procedimento di preparazione è lo stesso della Lawsonia, mentre il tempo di posa è molto più corto: un’ora è sufficiente per ottenere i primi benefici che col tempo e le applicazioni diventeranno più evidenti.

I pro e i contro dell’hennè

I pro sono sicuramente tanti: lucentezza, forza, resistenza, corposità del capello. I contro invece, derivano dal fatto che, come detto prima, la colorazione con le erbe tintorie si lega alla cheratina: per questo, fare una decolorazione o cambiare colore non sarà proprio facile. Il capello viene rivestito dall’hennè, quindi diventa poco permeabile agli agenti chimici; così, se si vuole passare al colore chimico, è consigliabile interrompere per almeno un mese e parlare col proprio parrucchiere di fiducia. Altro contro è il fatto che l’hennè non copre i capelli bianchi, ma li riveste facendoli diventare color rame intenso. Questo effetto di meches naturali è molto bello se i bianchi sono sparsi uniformemente nella chioma, ma se ad essere candide sono solo le radici, allora si potrebbe avere un effetto bicolor veramente antiestetico.

Come scegliere l’henné?

I canali di distribuzione sono tanti: dalle erboristerie ai siti internet, ai negozi etnici. L’importante è acquistare polveri senza aggiunta di elementi chimici, che a volte vengono inseriti per rinforzare il colore e farlo durare più a lungo, togliendo quindi naturalità a un prodotto di bellezza dalla storia millenaria.

Copyright © 2022 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

I TAROCCHI – IL DIAVOLO, TRA SEDUZIONE E INFERNO

In copertina: Alexandre Cabanel “L’angelo caduto”, 1868

Il tuo fasto è disceso negli inferi, come la musica delle tue arpe. Sotto di te si stendono le larve, i vermi sono la tua coperta. Come sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora! Come fossi precipitato a terra, tu che aggredivi tutte le nazioni! Eppure tu pensavi in cuor tuo: “Salirò in cielo, al di sopra delle stelle di Dio erigerò il mio trono. Siederò sul monte dell’assemblea, ai confini del settentrione. Salirò sulle nubi più alte, sarò simile all’Altissimo”. (Is. 14: 11-14)

Dopo la trasformazione iniziata con La Morte, che ha dato vita alla prima di due figure alate, ora l’angelo dalle ali candide della Temperanza lascia spazio all’oscurità e alle fiamme che avvolgono il Diavolo.

Disponendo gli Arcani Maggiori in due file da 10, lasciando fuori mazzo lo 0 e il 21 (Matto e Mondo), notiamo immediatamente che l’Arcano V, il Papa, si pone sopra e specularmente al Diavolo, la Carta XV. In pratica il pontefice, che rappresenta Dio in terra e tutto ciò che ha a che fare con il culto dell’amore e del bene, sta all’opposto del Diavolo, signore e pontefice degli inferi. Quindi, nel mazzo si trovano due papi: uno del mondo di sopra e uno del mondo di sotto.

Anche la raffigurazione delle due Carte è molto simile: nel Papa, abbiamo una figura assisa su un trono, con il pastorale e la tiara, simboli del potere spirituale; davanti a lui sono inginocchiati due oranti. Il Diavolo domina da un piedistallo, tenendo tra le mani una torcia, e col capo ornato da lunghe corna. Ai suoi piedi si vedono due figure umane, che tiene legate con delle catene.

Le similitudini appaiono quindi evidenti, e laddove il Papa rappresenta il potere spirituale, il Diavolo al contrario ci parla delle passioni umane: il sesso, la gelosia, l’energia dirompente, il fuoco che arde il cuore, l’attrazione, il magnetismo, il fascino. Non era forse Lucifero – il portatore di luce – il più bello degli angeli? E il Diavolo dei Tarocchi non regge forse una torcia? Si parla di seduzione del male; ma si viene sedotti da ciò che vogliamo possedere, che ci piace, che ci lega – come le catene che vediamo raffigurate nella Carta – ai nostri desideri terreni. Per liberarci dal Diavolo dobbiamo guardarlo in faccia e conoscerlo: per questo motivo questo Arcano rappresenta anche una prova che il consultante deve affrontare. Le Carte vicine ci diranno se riuscirà a superarla.

Al contrario, il Diavolo assume un forte significato negativo. Si dice che col diavolo contro non si può iniziare niente, quindi si faccia attenzione agli inganni, alle dipendenze, alle illusioni, alle bugie. Mentre nel Diavolo al diritto l’energia è dirompente, qui invece essa subisce un blocco. Solo studiando bene la stesura completa sarà possibile comprendere come rimuoverlo affinché possa riprendere a fluire.

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

UN PROCESSO PER STUPRO (ALLA PRESUNTA VITTIMA)

Cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. […] Se questa ragazza fosse stata a casa, l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente!”. Arringa dell’avvocato Palmieri, da “Un processo per stupro” (1980, Einaudi).

Se verrà dimostrato quello che racconta mia figlia, e io credo a mia figlia, lei resterà segnata per tutta la vita. Spero che chi deve indagare e giudicare sappia valutare oggettivamente i fatti, indipendentemente dalla potenza politica del padre“. Con queste parole rilasciate al quotidiano La Repubblica, il padre della ragazza che ha denunciato per stupro Leonardo La Russa, figlio per presidente del Senato, intende chiarire la sua posizione e quella della figlia, presunta vittima. Presunta non in senso dispregiativo, bensì tale in quanto la giustizia sta lavorando, La giovane, secondo il centro antiviolenza della clinica Mangiagalli di Milano “presenta ferite compatibili con la violenza sessuale.

Non siamo qui per istituire un processo: sarà compito dei magistrati chiarire la vicenda. E’ invece intollerabile il lancio di fango verso questa ragazza e prima di lei, verso quella che denunciò uno stupro subito da Alex Grillo & amici, figlio del comico Cinque Stelle. Entrambe le donne sono state attaccate pesantemente dai padri dei giovani, forti della loro posizione politica: La Russa ha dichiarato che “la ragazza aveva assunto cocaina” e perciò le sue dichiarazioni erano inaffidabili; ma se la giovane davvero fosse stata drogata questo sarebbe stato um motivo in più affinché Leonardo evitasse contatti fisici con lei, visto lo stato di alterazione.

https://www.repubblica.it/politica/2023/07/07/news/ignazio_la_russa_figlio_indagato_violenza-406972083/

Beppe Grillo invece, diffuse un video dai toni accusatori e maschilisti, a difesa del figlio accusato di stupro di gruppo. Vedere per credere. Tra l’altro proprio oggi lunedì 10 luglio, si tiene una nuova udienza sul caso.

Video @LaPresse

Il vero problema è che la colpa è sempre delle donne e alle donne non ci crede nessuno. Aspettare otto o quaranta giorni per denunciare un’aggressione sessuale fa decadere l’accusa? Nessuno si chiede perché queste ragazze abbiano atteso tanto tempo per recarsi dalle forze dell’ordine? Immaginiamo la paura, la vergogna e il timore delle conseguenze a lungo termine, anche sulle famiglie. Qui stiamo parlando dei figli dei politici, e sappiamo bene quanto il potere difenda se stesso. I centri antiviolenza che si occupano dei reati contro le donne sono in grado di discernere la realtà e potrebbero raccontare l’angoscia delle vittime. Ci aspettiamo da loro una presa di posizione, una dichiarazione, qualsiasi cosa possa far sentire meno sola la ragazza di Milano. Il CAV della clinica Mangiagalli ha rilasciato un referto tossicologico, individuando nel sangue della ragazza tracce di cocaina e benzodiazepine, nonché segni compatibili con una presunta violenza sessuale. Si ventila l’ipotesi, inoltre, di droga dello stupro, che potrebbe essere stata versata nel drink della giovane che, in una chat con le amiche, dichiarava di non ricordare nulla se non di essersi risvegliata in casa La Russa. Attendiamo l’esito delle indagini. Intanto, è battaglia tra maggioranza e opposizione perché il tema della violenza di genere è uno dei maggiori terreni di scontro tra PD e destre. Politicizzare il tutto non credo sia l’unica via per fare giustizia per questo e altri reati uguali. Servono i fatti. Servono i fondi, serve una rete ancora più capillare di centri antiviolenza, serve scindere l’azione di contrasto alla violenza di genere dalla partitica. Purtroppo però, a fare notizia sono solo i nomi noti, e non gli atti compiuti dai tanti anonimi sex offender, almeno finché non ci scappa la morta e ne parlano i giornali. Sono lontani o tempi nei quali “l’avvocata delle donne” difendeva le abusate, tracciando una strada che, seppur tra buche e irregolarità, noi oggi possiamo percorrere. Quanto ci manchi, Tina Lagostena Bassi!

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

VINCENT PETERS TIMELESS TIME DAL 28 GIUGNO AL 1 OTTOBRE A PALAZZO ALBERGATI DI BOLOGNA

In copertina: photo @Vincent Peters

Dal 28 giugno Palazzo Albergati ospita una straordinaria e seducente mostra dedicata a
VINCENT PETERS. Dopo il grande successo riscosso a Palazzo Reale di Milano, con code infinite, gli scatti del grande fotografo di fama internazionale che ha reso immortali celebrities, brand e campagne pubblicitarie in tutto il mondo, arrivano a Bologna.

“Mi ha sempre affascinato il modo in cui l’illuminazione guida e definisce le emozioni e racconta una storia – il modo in cui le persone riflettono la luce a modo loro”.
Vincent Peters



Photo @Vincent Peters

Il 28 giugno arriva a Palazzo Albergati di Bologna una delle mostre fotografiche più visitate dell’anno, dopo il grande successo riscosso a Palazzo Reale di Milano dove è stata letteralmente presa d’assalto.

Timeless Time” è il titolo del viaggio tra gli scatti iconici e senza tempo del fotografo Vincent Peters che, fino al 1 ottobre, presentauna selezione di lavori in bianco e nero in cui la luce è protagonista nel definire le emozioni e raccontare le storie dei soggetti ritratti e della loro intima capacità di riflettere la bellezza.

Christian Bale, Monica Bellucci, Vincent Cassel, Laetitia Casta, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, David Beckham, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, John Malkovich, Charlize Theron, Emma Watson e Greta Ferro sono solo alcuni dei personaggi famosi i cui ritratti sono esposti a Palazzo Albergati.
Scatti realizzati tra il 2001 e il 2021 da Vincent Peters che, usando un’illuminazione impeccabile, eleva i suoi soggetti a una posizione che spesso trascende il loro status di celebrità.

Quello ritratto da Vincent Peters è il mondo delle star e delle celebrities, un moderno Olimpo che dissolvendosi in un’atmosfera da cinema neorealista italiano si avvicina allo sguardo del pubblico diventando familiare e riconoscibile.
I suoi scatti sono storie oniriche, composte da un sovrapporsi di strati che dialogano tra loro completandosi. Il suo lavoro, infatti, si caratterizza per stratificazione e distinzione: ciascun elemento che converge e si condensa in ogni suo singolo scatto, forma uno strato che non perde mai la propria identità e distinzione. E nell’incontrarsi di questi strati singolari, ogni immagine di Peters arriva a raccontare una storia. Fino a diventare un film in un solo fotogramma.

Col patrocinio del Comune di Bologna, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Nobile Agency e vede come sponsor Credem e FR Boutique, sponsor tecnici Ferrari TrentoProcessus e Digital Light e mobility partner Cotabo.

Photo @Vincent Peters

BIOGRAFIA
Vincent Peters nasce a Brema, in Germania, nel 1969 e all’età di vent’anni si trasferisce a New York per lavorare come assistente fotografo. Tornato in Europa nel 1995, ha lavorato per diverse gallerie d’arte e su progetti personali e nel 1999 ha iniziato la sua carriera presso l’agenzia di Giovanni Testino come fotografo di moda.
Negli anni Vincent Peters si specializza nei ritratti di celebrità, scattando campagne leggendarie per riviste di tutto il mondo, distinguendosi con il suo stile cinematografico.
Il suo portfolio comprende lavori per brand come Armani, Celine, Hugo Boss, Adidas, Bottega Veneta, Diesel, Dunhill, Guess, Hermes, Lancome, Louis Vuitton, Miu Miu, Netflix, solo per citarne alcuni. Le sue opere sono state esposte in gallerie d’arte internazionali tra cui, ad esempio, Camera Work a Berlino, Fotografiska a Stoccolma e il prestigioso Art Basel in Svizzera.

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

“VOLEVO FARE IL GIORNALISTA”. POESIE, RIFLESSIONI E REALTA’ NEL LIBRO DI GIUSEPPE DI MATTEO

Volevo fare il giornalista.
Ogni giorno
mi tocca vendere l’anima
per due parole
che non hanno valore
(tratto da “Volevo fare il giornalista” di Giuseppe Di Matteo)

Alcuni lo definiscono il mestiere più bello del mondo e altri ne vengono attratti grazie ai film che celebrano le gesta dei big della stampa: il giornalismo in realtà è duro, è lotta, è un mondo difficile, a volte impossibile, nel quale vivere e lavorare. Giuseppe Di Matteo, classe 1983, ha al suo attivo diverse raccolte di poesie e un lungo curriculum in varie redazioni. “Volevo fare il giornalista” (2023, 4 Punte Edizioni), è l’ultima opera del giornalista e poeta pugliese; una raccolta di poesie brevi ma potenti che rappresentano situazioni vissute dall’autore, “un atto di accusa in versi” nei confronti di un mestiere a suo avviso “sempre più schiavile”. Grazie alla scrittura incisiva, scabra, essenziale, il libro si legge velocemente e altrettanto velocemente si rilegge, perché i componimenti sembrano dilatarsi ad ogni nuova lettura, liberando i significati racchiusi nei versi. Il libro, disponibile sui maggiori canali di distribuzione, è stato illustrato da Liliana Carone.

La copertina del libro

“Volevo fare il giornalista” (4 Punte Edizioni) è il titolo del suo ultimo libro. Sembra suonare molto provocatorio, soprattutto nei tempi attuali, dove gli attacchi alla professione sono molti. È così?“.

“In realtà non è affatto provocatorio e nemmeno tanto allusivo: sono un giornalista professionista da quasi dieci anni, ma non riesco a farlo come vorrei. Colpa soprattutto della precarietà che ormai è l’anima più profonda di questo mestiere. Per quanto riguarda gli attacchi alla professione, il primo non viene dai suoi nemici, è un fuoco amico. Alludo al modo in cui la professione sta cambiando per volontà di chi la esercita: ci si sta allontanando dal giornalismo di qualità, che era anzitutto un gioco di squadra, per inseguire altre logiche. Il racconto del mondo e della realtà viene quotidianamente sostituiti da un chiacchiericcio spacciato per cronaca: un’assurdità. La continua ricerca del sensazionalismo è un altro veleno che sta inquinando non poco quello che, a mio avviso a torto, viene considerato il mestiere più bello del mondo”.

Cosa salva del giornalismo attuale?

“La sua missione, che è la ricerca della verità. Ma anche l’opportunità che esso regala, e cioè raccontare il mondo. Lo si può fare in molti modi: io, per esempio, amo scrivere di attualità e cultura. Presto però l’arcobaleno scompare, per tanti motivi. Anzitutto perché ormai il giornalismo è un mestiere sempre più schiavile: tolti i privilegiati e i divi televisivi, gli altri fanno la fame o vivono tra mille difficoltà. Non si assume praticamente più, e quando lo si fa il talento non è quasi mai l’elemento più importante: spesso contano il nome che hai e le relazioni che puoi offrire. In secundis, il giornalismo è un mestiere feudale. Esistono infatti i proprietari terrieri degli spazi e degli argomenti: il che significa mettersi in fila per anni per ottenere al massimo un osso rosicchiato. Non parliamo poi dei compensi. Molti collaboratori esterni vengono pagati pochissimo: eppure sono loro che mandano avanti la baracca. Ma ci sono anche altri problemi. Il giornalismo è diventato un mestiere terribilmente impiegatizio: chi lavora in redazione spesso passa il suo tempo a passare i pezzi degli altri, a titolare e a riempire boxini; non si esce più, salvo lodevoli eccezioni; si è incatenati alle notizie d’agenzia e al web. Ma il giornalismo più vero e autentico è quello che ti permette anzitutto di parlare con le persone, di vedere e riferire.

A mio avviso, comunque, giornalismo più bello è quello che si fa in radio, dove non si è schiavi delle immagini e conta la forza della parola. Anche la carta stampata ha un suo fascino un po’ per lo stesso motivo; poi c’è l’oceano del web, che potrebbe essere uno spazio interessante ma spesso viene riempito di contenuti pessimi o banali; il giornalismo televisivo non mi piace per niente, anche perché in molti casi non racconta nulla se non l’ego smisurato del giornalista. Ovviamente salvo lodevoli eccezioni”.

Il libro è molto diretto, crudo, vero. Quali sono state le sue emozioni durante la stesura?

“Non è stato semplice lavorare alla stesura di questo libro. Non è un’autobiografia poetica, ci tengo a precisarlo, ma ovviamente c’è tanto del mio vissuto personale. So di cosa parlo, non mi sono inventato nulla. Ho tra l’altro raccolto nel libro un triste patrimonio di esperienze comuni di cui nessuno parla. Precarietà e stipendi da fame sono il pane quotidiano di tanti giornalisti che vivono del proprio lavoro e basta, senza inseguire la celebrità o patetici occhi di bue. I miei frammenti, ai quali mi auguro di aver conferito un minimo di sostanza poetica, sono dedicati non a caso ai miei compagni di sventura. Non poche volte ho avuto la tentazione di mollare, anche perché il mio è sostanzialmente il racconto di chi non ce l’ha fatta. E tuttavia è un racconto intellettualmente onesto, non un piagnisteo. Infatti, pur tra mille difficoltà e anche se ho scelto di provare la carriera dell’insegnamento, continuo a scrivere. Ho un tesserino da giornalista professionista: non rinuncio tanto facilmente a esercitare una professione alla quale ho dedicato, e dedico ancora, lacrime e passione”.

Scrittura come liberazione o libertà di scrittura?

«Direi più la prima, e mi piace citare non a caso la parte finale di una delle poesie più belle di Franco Fortini: “Nulla è sicuro, ma scrivi”.

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

ROMA MAGICA: LA PAPESSA E IL VICUS PAPISSE

Narra la leggenda che la Papessa Giovanna fosse arrivata al soglio pontificio ingannando tutti sul suo sesso, ma che poi, in preda alle doglie, avesse partorito nei pressi della basilica di San Giovanni. Ancora oggi, il fatto è ricordato da un’edicola posta nel Vicus Papisse, un tratto di strada tra via dei Querceti e via dei Santi Quattro, vicino alla chiesa di San Clemente, nel cuore della Roma medievale.

L’edicola in Vicus Papisse

A chi non conosce questa storia, l’edicola potrebbe sembrare una semplice, piccola costruzione in onore della Madonna, dove i fedeli appongono gli ex voto per grazia ricevuta. Come è accaduto molto spesso, la Chiesa ha operato una stratificazione, o meglio una sostituzione: in questo caso, sostituendo al ricordo del parto scandaloso la purezza di un’immagine della Vergine, quasi a esorcizzare, a santificare un luogo contaminato.

L’interno dell’edicola tra via dei Querceti e via dei S.S.Quattro

Secondo la narrazione, la Papessa Giovanna era una donna inglese educata a Magonza che, grazie al suo fisico androgino, riuscì a divenire monaco e successivamente pontefice dall’855 all’857 col nome di Giovanni VIII. Durante una solenne processione pasquale, mentre tornava da San Pietro verso la basilica lateranense, il cavallo che montava la disarcionò, provocandole così il parto e svelando il segreto della sua femminilità. Qui la leggenda si fa confusa: secondo alcune versioni sembra che Giovanna morì a seguito del parto; altre la vedono rinchiusa in un convento, o addirittura legata per i piedi a un cavallo, trascinata lungo le vie di Roma e infine lapidata. Del bambino si sa poco o nulla: sarebbe diventato vescovo di Ostia, ma altre voci affermano che morì alla nascita.

Miniatura del 1420

Quella che pare una leggenda sembra però contenere una verità, purtroppo ancora attuale: ossia la proibizione per le donne consacrate di intraprendere la carriera ecclesiastica, come invece è consentito gli uomini; di amministrare i tutti i sacramenti; di ambire al trono di Pietro, relegandole invece ad una vita monastica, quasi come fossero le serve di vescovi e sacerdoti. Giovanna diviene così un’icona femminista: ha il coraggio, l’ambizione e la furbizia per ingannare il clero romano, accedere a studi assolutamente proibiti a una donna e diventare addirittura papa. Certo che la scoperta della sua femminilità, vista in quest’ottica, fu uno smacco pesantissimo per gli uomini a capo della Chiesa cattolica, e quindi, probabilmente, lavato col sangue. Ma Giovanna aveva creato un precedente, facendo comprendere alle donne che avevano il potere di cambiare le cose. Pur condannate all’ ora et labora senza nessuna possibilità di studiare; private dei loro beni familiari, stornati in favore dei fratelli in nome di una logica ereditaria dove, se i soldi non erano sufficienti a stringere un buon matrimonio, una delle figlie veniva spedita in convento; Giovanna rappresentava per queste donne un’ideale di libertà che bisognava assolutamente cancellare, precipitandola nella dannatio memoriae perpetua.

Che sia vero o che si tratti di un mito, purtroppo non esistono documenti che comprovino i fatti; ma la presenza dell’Arcano II, La Papessa, nei Tarocchi è molto interessante.

Partiamo dal fatto che i Tarocchi si sono diffusi nel Medioevo, dapprima apparentemente come un innocente gioco di carte, sebbene sia evidente che il loro linguaggio è molto più profondo. Proprio per questo, le raffigurazioni dovevano indicare eventi, persone, situazioni facilmente riconoscibili da tutti e, vista anche la forte componente religiosa nella vita medievale, che si ritrova nel Papa, nel Giudizio, nel Mondo, nella Morte, la Carta della Papessa pone almeno due interrogativi.

Il primo è: perché si è deciso di inserire la Papessa nei Tarocchi, se si tratta di una figura di fantasia? Si poteva pensare a qualsiasi altra figura di erudita, anche di epoca diversa. Perché non una Vestale oppure una sacerdotessa egizia?

Il secondo riguarda invece la veridicità della figura del pontefice donna: la Carta della Papessa vuole tramandare la memoria di Giovanna, per evitare che si perda tra le nebbie del tempo?

Se così fosse, i Tarocchi sarebbero stati concepiti anche come un mezzo per raccontare quello che non si poteva dire all’epoca, aggiungendo così un altra modalità di utilizzo, dopo quella del gioco e della divinazione.

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

IL VIDEOSABATO: “VATICAN GIRL” QUARANTA ANNI SENZA EMANUELA ORLANDI

Dopo 40 anni dalla scomparsa, non si sa ancora niente di Emanuela Orlandi. Il 22 giugno 1983, Emanuela scomparve dopo essere uscita dalla scuola di musica, in pieno centro di Roma, risucchiata in un buco nero lungo 40 anni. Tra mitomani, depistaggi, silenzi, omissioni e omertà la famiglia non si è mai arresa. Pietro Orlandi, fratello della giovane, ha speso la sua vita per trovare la sorella finché, durante un brevissimo incontro con papa Francesco, il pontefice gli ha detto: “Emanuela è in cielo, pregate per lei”.

Vatican girl”, la serie Netflix, analizza in base alle testimonianze e ai pochi documenti, un caso ancora aperto. Proponiamo ai nostri lettori un estratto della serie. ricordando che domenica 25 giugno Pietro Orlandi ha organizzato un sit in che partirà da piazza Giovanni XXIII fino ad arrivare a piazza San Pietro, per chiedere finalmente la verità su Emanuela.

Copyright@2023thewomensentinel – diritti riservati – riproduzione vietata

ROMA E I TAROCCHI: LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI DI VIA VENETO

Situata a via Veneto, in una delle strade più famose di Roma, la Cripta dei Cappuccini è un luogo particolare, dove la morte è diventata arte. Questa affermazione potrebbe apparire strana, se non impossibile; ma entrando nella Cripta – formata da una serie di piccole cappelle poste l’una accanto all’altra – la sensazione è di poter assistere alla trasformazione del corpo, da unità vivente a scheletro. Trasformazione che è l’azione fondamentale dell’Arcano XIII o Arcano senza nome: La Morte.

Alla Cripta dei Cappuccini si accede attraverso il Museo omonimo: qui, giacciono i resti di circa quattromila frati. In ogni cappella si nota un pavimento in terra battuta, proveniente da Gerusalemme, dove sono sepolte le salme più recenti, contrassegnate dalle croci; poi, a seconda della dedicazione, ogni cappella presenta una sua caratteristica: c’è quella dei bacini, dove queste ossa sono state usate per creare delle architetture; oppure quella dei teschi, finanche ai rosoni che sono posti al soffitto o alle lanterne, tutte costruite con ossa. Nel progetto della Cripta però, non c’è spazio per il gusto del macabro, bensì per la riflessione sulla caducità della vita e dell’inutilità della corsa alle cose materiali.

La Cappella dei Teschi photo @Museo dei Frati Cappuccini di Roma

Sebbene venga simboleggiata differentemente su ogni mazzo, a volte come scheletro, a volte come figura vestita di nero, a volte come un cadavere a cavallo, la Morte ricopre sempre lo stesso ruolo: quello cioè, della Mietitrice, di colei che non bada alla ricchezza o al ceto di coloro che viene a prendere, facendo il suo lavoro con equità, senza distinzione tra ricchi e poveri, vecchi e giovani, re e servi.

In tempi più moderni Totò scrisse ‘A livella, poesia dedicata all’uguaglianza di fronte alla morte, dove il marchese e il netturbino valgono lo stesso, e non esiste denaro o ricchezza in grado di distinguere tra i defunti, o addirittura dissuadere la Morte dal suo passaggio. Davanti a lei, siamo tutti uguali.

Per comprendere il profondo significato di trasformazione simboleggiato da questa Carta, basta osservare la foto che segue questo paragrafo. Lo scheletro, che appartiene a una principessa Borghese, sorregge una falce e una bilancia. Pesa cioè le nostre azioni, come il dio egizio Anubis, per poi pareggiare i conti: la bilancia deve essere in equilibrio, quindi ogni azione sarà valutata attentamente. La simbologia del peso sarà poi ripresa nella carta della Giustizia, l’Arcano VIII.

Photo @Museo dei frati Cappuccini di Roma

In realtà, La Morte dei Tarocchi non vuole significare la dipartita fisica, bensì la trasformazione, il passaggio, laddove per rinascere a nuova vita bisogna prima morire, abbandonando l’esistenza precedente e le sue certezze. Nei Tarocchi di Marsiglia, la Morte è raffigurata come uno scheletro dove si notano il cranio bendato (le bende impedivano l’apertura della bocca del cadavere), le articolazioni in rosso e la spina dorsale, il braccio sinistro e la tibia destra in azzurro. Colori che si ritrovano nella lama della falce, che come da tradizione, la Morte adopera per tagliare, tanto che ai suoi piedi si trovano arti mozzati e anche una testa coronata. Ed è proprio questo verbo – tagliare – uno dei principali significati della Carta. Tagliare, trasformare, lasciar morire qualcosa per rinascere a nuova vita; cambiare, dare un taglio netto; significa anche un radicale cambio di stato.

La Carta ha un significato forte e, se ben aspettata, indica un cambiamento positivo. Se invece le Carte successive saranno critiche, oppure se uscirà rovesciata, allora il suo valore dovrà essere ben ponderato: potrebbero accadere separazioni, episodi molto dolorosi, crisi, rimozioni nel senso psicologico, e in alcuni casi anche episodi di violenza.

Copyright © 2023 TheWomenSentinel.net | Tutti i diritti riservati | Riproduzione Vietata |

BORN THIS WAY: BRIANZA OLTRE L’ARCOBALENO, CON FORZA E ORGOGLIO PER LA COMUNITA’ LGBTQ+

Nata nel 2019, BOA Brianza Oltre l’Arcobaleno è l’associazione di riferimento nel territorio della Brianza per coloro che vogliono parlare, informarsi, attivarsi e confrontarsi sulla transizione e sulla comunità LGBTQ+. Il nostro magazine ha incontrato Alex Mariani, l’attivissimo e instancabile presidente di BOA, per un’intervista che proponiamo ai lettori.

Se non abita a Roma o a Milano o in un’altra grande città, dove può rivolgersi una persona in transizione per avere informazioni o supporto? E quanto è difficile essere se stessi, soprattutto quando si vive in posti che non vedono di buon occhio una persona LGBTQ+? La realtà è che non esistono molti punti di ascolto per chi ha bisogno di sapere come fare a districarsi attraverso la burocrazia e le leggi, per ottenere il riconoscimento del cambio di sesso.

In foto: Alex Mariani

Chiedilo ad Alex.

Alex Mariani ha 48 anni, vive in Brianza e da buon brianzolo, è proprietario di un mobilificio ereditato dal padre. Alex è una persona transgender FtoM. Svolgendo un lavoro al contatto col pubblico, Alex ha dei clienti che lo hanno conosciuto prima della transizione e quando parla del suo percorso, lo fa con una battuta: “Come battevo bene il martello prima, lo batto bene anche adesso“. Per lui il cambiamento principale non è stato quindi quello fisico o anagrafico, ma voler essere se stesso, perché l’essenza della persona non si cambia: siamo esseri umani e non ruoli incasellati in categorie. Alex è presidente di BOA, Brianza Oltre l’Arcobaleno, un’associazione nata nel 2019 da un collettivo, anno in cui i soci sono riusciti a organizzare il primo Pride, che ha avuto un successo oltre ogni aspettativa. Si pensava infatti alla presenza di massimo 20 persone e invece, hanno aderito in diecimila. Terminato il Pride, BOA si è chiesta cosa potesse organizzare in Brianza, visto che non c’era nulla di che, e per questo motivo bisognava obbligatoriamente spostarsi a Milano. La prima azione è stata quella di stipulare una convenzione per uno sportello di ascolto in una sede della CGIL. E da lì, BOA ne ha fatta di strada. Pride, Tdor, iniziative di sensibilizzazione sul tema della transizione, gruppi AMA, sostegno psicologico, interventi nelle scuole e anche un articolo su Vanity Fair: BOA è diventata un punto di riferimento per quant@ vogliono informarsi o attivarsi con e per la comunità LGBTQ+.

Alex Mariani, quali sono gli obiettivi di BOA Brianza?

“I nostri obiettivi sono quelli di far uscire, e dunque fare capire alle persone, che non sono sole qui in Brianza, che non bisogna per forza spostarsi a Milano per avere il diritto di essere se stessi, che questo stesso diritto l’hanno anche nel loro piccolo o grande paese”.

Ci sono state difficoltà per diffondere la mission e le iniziative di BOA?

“La difficoltà è il territorio: la Brianza è abbastanza chiusa per la nostra comunità, facciamo scalpore e a volte diamo anche un po’ fastidio, ma noi vogliamo continuare ad esserci, ad entrare nelle scuole, a dialogare con i Comuni e ad essere un punto di riferimento per chiunque”.

Chi sono le persone che si rivolgono a voi?

“Ci sono varie persone: chi vuole intraprendere il percorso di incongruenza di genere, chi semplicemente vuol fare amicizia, chi ha problemi in famiglia o a scuola”.

Quali interventi mettete in atto per dare aiuto a chi si rivolge a BOA Brianza?

“Siamo riusciti a entrare in molte scuole quest’anno e questo ci ha permesso di parlare con le ragazze e i ragazzi che fortunatamente si sono mostrati molto preparati e anche a volte curiosi, ma nel senso buono. Abbiamo inoltre un gruppo di psicologi e avvocati che ha sposato la nostra causa e ci permette di aiutare, tramite loro, a prezzi calmierati per la persona. Inoltre continuiamo ad avere i nostri sportelli di primo ascolto a Monza e a Vimercate oltre a quello on line, e quest’ultimi sono portati avanti dai volontari e le volontarie”.

Progetti per il futuro?

“Continuare, entrare ancora di più nelle scuole perché secondo noi è fondamentale partire da lì, creare eventi formativi per la Brianza, ma anche eventi ludici in cui chiunque venga si senta al sicuro e libero” .

Vorrebbe dire qualcosa ai nostri lettori?

“Vorrei dire a chi fa parte della nostra comunità di non avere paura di uscire, di chiedere aiuto e di rivolgersi alle associazioni sul territorio, perché insieme possiamo fare davvero la differenza. A chi invece non ne fa parte vorrei dire di venire ad incontrarci, ad ascoltare, informarsi, senza partire con il pregiudizio; di avere la mente aperta, perché in fondo siamo tutti esseri umani, con i pregi e i difetti che tutt* abbiamo, che non c’è nulla di sbagliato in nessuno di noi. Ma soprattutto, che siamo veramente molto simpatici”.

Copyright@2023thewomensentinel – diritti riservati – riproduzione vietata

  • Registrazione Tribunale di Roma n.133/22 del 8/11/22

error

Enjoy this blog? Please spread the word :)

error: Content is protected !!