Cara Mava, sono nato ex voto, per grazia ricevuta, come nelle migliori tradizioni del profondo sud. Se il mio fratellino precedente non fosse tornato in cielo all’ottavo mese, non sarei caduto sulla Terra, mentre libravo leggero nel limbo dei puttini felici. Cosi’, superato l’ottavo mese di vita, mi travestirono da San Cataldo, il Santo Patrono del mio paese, e mi portarono in processione.

Ero un bambino bellissimo come un bambolotto, paffutello e morbido. Ma dopo i primi anni, diedi gia’ i primi segni di stranezza nella scelta dei giochi. Prediligevo le bambole e giocavo con le bambine, pur non rifiutando i giochi maschili, regalati da Papa’, e la compagnia dei maschietti.
Ma il mio gioco preferito era creare delle sceneggiature con tutti i giochi. Maschili e femminili. E alla fine delle storie, dopo aver viaggiato per mari e monti con trenini e barchette, girando in lungo e in largo, i soldatini irrompevano nella citta’ delle bambole e, bim bum bam, le sterminavano tutte. O quasi. Perche’ restava sempre una superstite, Carlotta, che, a mani nude, come una super-eroina, distruggeva le armi giocattolo, lanciandole contro le pareti e fuori dalle finestre della mia stanza.
Finche’ un bel brutto giorno, mentre stavo ricamando col tamburo, un altro gioco che Mamma e Zie mi facevano fare per tenermi buono a casa, anziche’ giocare sulla riva del mare, o rincorrerci a rimpiattino tra ragazzini per le labirintiche strade del paese, un’arcigna parente sentenzio’ ” : ” ma stu picciuliddu u vi para nu poco menzafimmina ”? (Ma questo bambino, non vi sembra un po’ mezza femmina)?
Il cerchietto, sul quale stavo ricamando su un fazzoletto a punto a croce, mi cadde dalle manine, cominciando a roteare sull’ampio pavimento del salotto. E dopo aver compiuto lenti giri concentrici, si fermo’ in mezzo alla stanza. E in quel preciso istante si fermo’ anche la mia infanzia spensierata e felice.
Ora ti chiedo, cara Mava, di immedesimarti nel mio racconto come se fosse anche il tuo, ed aiutarmi a venirne fuori. Perché di amore-odio verso la propria origine, si tratta.
Risposta di Mava
Caro Anonimo, innanzitutto grazie per il tuo bel racconto, scritto in modo lieve, alleggerendo il peso di quel conflitto di identità generato da un vero e proprio bullismo parentale subito. Ma, credo, non solo parentale.
Il termine “Mezzafemmina” è tipico di certe zone delle Calabrie Saudite, e per un bambino cresciuto in un ambiente repressivo e sessista, dove anche il respiro viene ruolizzato, non deve essere una parolina magica che fa apparire gnomi e fatine turchine, ma qualcosa che lascia un segno indelebile nel tempo.
Dipende tutto da come ”noi” reagiamo da bambini. Tu hai reagito con una chiusura, perché dici che la tua infanzia si ê fermata dopo aver ascoltato quel termine.
Forse perché eri più grande di me che, avendo le tue stesse origini, a circa otto anni reagii da Mava Fankú in erba 🙂
“Ma quale Mezzafemmina/ o tutta donna o niente/ ripete quel bambino tra la gente”… Recita una strofa di una mia chanson che ti dedico. Cherchez L’identitè…
Trasformare alchemicamente le cose, tramutando gli svantaggi in vantaggi, è una possibile, anche se non facile soluzione.
Un abbraccio solidale da Mava Fankú
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