Immagine di copertina per gentile concessione di @Anarkikka
La repressione iraniana sta mostrando al mondo la ferocia di un governo del terrore, ma soprattutto le conseguenze dell’unione tra potere politico e religioso, laddove ognuno influenza l’altro, contaminandolo, sporcandolo, estremizzandolo e dando vita a una dittatura teocratica.
L’urlo di dolore della madre di uno dei ragazzi impiccati questa settimana, è ancora nelle orecchie di tutti: straziante, inimmaginabile, ma non inascoltato. Ragazzi impiccati a una gru perché “in guerra contro Dio“: è questa la motivazione per la loro condanna a morte, quasi che avessero firmato una dichiarazione di belligeranza, consegnandola agli ambasciatori divini. Che certo, semmai ci fossero, non somiglierebbero affatto a questi anziani pieni di livore verso i giovani, che protestano ormai da quasi tre mesi. Forse sono gelosi della loro giovinezza, della loro caparbietà e del loro coraggio, della voglia di cambiare e di smettere di avere paura, loro che si muovono a fatica e si aggrappano al potere con dita avide e adunche.
E anche le donne, colpite al volto e ai genitali, diventano testimoni della misoginia del governo, e dell’idea patriarcale che le vuole solo belle e in grado di riprodursi, insomma di fare il loro dovere. Quello a cui si attenta, in pratica, è l’immagine fisica, senza comprendere che anche ferite e cieche, restano testimoni della rabbia del potere, diventando simbolo di resistenza. La precisione dei colpi sparati contro di loro – viso, seno, inguine – è la geometria dell’odio di genere.
Del resto, la miccia si chiamava Mahsa Amini, donna, ammazzata di botte dalla polizia morale a 23 anni per un velo messo male, ma ufficialmente deceduta per arresto cardiaco. È curioso notare come nelle carceri iraniane i problemi cardiaci siano così comuni. Inoltre, sembra che la polizia morale sia stata sciolta, non si sa se effettivamente o come risultato di un camouflage a uso e consumo dell’opinione pubblica mondiale.
Al di là dell’analisi politica, che non è l’argomento di questo editoriale, rimane un fatto: il valore di questi ragazzi è talmente alto da togliere il fiato. E non è per niente scontato. Adesso però basta parlare: è ora di agire a livello globale, con misure che non colpiscano un popolo già provato, ma che abbiano come preciso obiettivo coloro che firmano esecuzioni e repressioni in nome di un Dio che, per chiunque sia credente, è simbolo di amore e non portatore di morte.
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