Quando una madre uccide un figlio, esprime un disagio che si cerca di definire come sintomo depressivo, o attimo di follia, o disperazione. La spiegazione del figlicidio spetta a psichiatri, psicologi e criminologi: tuttavia le persone vogliono sapere perché un tabù è stato infranto, cosa ha armato la mano di una madre, quali circostanze hanno portato alla decisione di uccidere.
Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, la ragazza diciottenne di Novellara sparita nel nulla il 30 aprile 2021, e sospettata della sua scomparsa, è stata intercettata in una chat col figlio minore, dove ammette la complicità nel delitto.

Le intercettazioni.
“Pensa ai comportamenti di tua sorella…“. La frase è riferita ai dubbi espressi dal fratello in merito alle azioni del clan familiare contro Saman. Era stato proprio lui, pare, a mostrare ai genitori una foto della sorella, ritratta mentre baciava il fidanzato. Una foto bellissima e pulita, ritratto dell’amore di due ragazzi come tanti. Però la famiglia di Saman non era come tante: ancorata alle tradizioni e fondamentalista sul comportamento che i figli dovevano tenere nei confronti dei genitori, l’avevano promessa a un altro uomo, in Pakistan. Ai nostri occhi occidentali sembrerebbe quasi impossibile, una storia medievale, ma le cose purtroppo funzionano così, in alcuni contesti. E il disonore gettato sulla famiglia a causa del comportamento di Saman doveva essere lavato col sangue.
Il fratello, che vive in una comunità protetta, ed testimone chiave dell’accusa avendo indicato lo zio Danish Hasnain come l’esecutore materiale dell’omicidio, parla con la madre di altre due persone, non indagate, che secondo lui avrebbero istigato il padre nell’organizzazione dell’omicidio della sorella. Li ritiene responsabili moralmente per la morte di Saman, ma Nazia cerca di calmarlo: “Lasciali stare. Tu non sai di lei? Davanti a te a casa… noi siamo morti sul posto, per questo tuo padre è a letto e anche la madre (parla di sé in terza persona, ndr) a letto”. E ancora: “Tu sei a conoscenza di tutto – dice Nazia al figlio –. Pensa a tutte le cose, i messaggi che ci facevi ascoltare la mattina presto, pensa a quei messaggi, pensa e poi dì se i tuoi genitori sono sbagliati…“. E il figlio risponde: “Ora mi sto pentendo, perché ho detto…“, alludendo a quanto rivelato ai carabinieri. del padre Shabbar al fratellastro, al quale ammetteva: “L’ho uccisa io. L’abbiamo uccisa noi. Per la mia dignità. Per il mio onore…“. Poi la confessione del cugino Ikram Ijaz a un compagno di cella in carcere a Reggio Emilia: “Io e mio cugino la tenevamo ferma mentre Danish l’ha strangolata con una corda“. Poi con l’aiuto di una sesta persona, un uomo misterioso mai identificato, “abbiamo caricato il corpo su una bicicletta, fatto a pezzi e gettato nel fiume Po“.

Omicidio, non delitto d’onore
E’ giunto il momento di chiamare le cose col loro nome, e la morte di Saman non è un delitto d’onore, bensì un femminicidio. Descrivere l’uccisione della ragazza come qualcosa legato all’onore della famiglia, ne svaluta la portata e quasi lo giustifica.
A questo scopo, è bene sapere che con legge 442 del 5 agosto 1981, si è abolito il delitto d’onore in Italia, che era contemplato e punito secondo il Codice Rocco c.p. Art. 587 del 1930:
“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”.
Intanto, la richiesta di estradizione rivolta al Pakistan per i due genitori, non è stata ancora evasa. Sembra che gli Abbas siano potenti in patria, e possano contare su una rete di protezione tale da non essere puniti per la morte di Saman.
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