Nelle famiglie reali, si sa, i panni sporchi si lavano in casa. O meglio si lavavano, finché non arrivò Diana.
Bella, giovane, anglicana e vergine: la moglie del futuro re di Inghilterrra doveva soddisfare queste caratteristiche, almeno secondo The Queen. E così, leggenda narra, la giovane Spencer venne scelta e incoraggiata a scegliere Carlo come marito.
Il consiglio ristretto delle donne Windsor – ossia Elisabetta, la Regina Madre e la principessa Margaret – approvarono una scelta che non sapevano avrebbe cambiato il destino della monarchia, anzi, delle monarchie, aprendo la porta a Letizia Ortiz di Spagna, a Catherine Middleton, a Meghan Markle e ad altre.
Senza voler cadere nella retorica della santificazione della Principessa di Galles patrona dei poveri e degli ammalati, vicina a Madre Teresa e camminatrice sulle mine antiuomo, è indubbio che Diana abbia cambiato la percezione delle monarchie, che sono comparabili a dinosauri nel loro anacronismo, rendendole più vicine al popolo.
E’ grazie a lei che l’iberica Letizia può indossare liberamente lo smalto rosso o gli abiti di Zara; Diana ha portato la couture e la moda Versace a corte, sgusciando fuori dagli improbabili abiti da vecchia nei quali si voleva imprigionare la sua giovinezza, tagliandosi i capelli, indossando i tacchi e il famoso Revenge Dress per dire che si, esisteva e sapeva che il suo titolo poteva fare da passaporto per una rivoluzione femminile, non solo a corte, di grande portata. Forse che Diana sia stata una femminista a corte? Potrebbe darsi; di sicuro c’è che è rimasta nei cuori di una generazione. A venticinque anni dallo schianto dell’Alma – e di tutte le teorie complottiste a proposito della sua morte – rimane nella memoria comune come Marilyn, Warhol, Liz Taylor, immutabili icone di un secolo.
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