30 May 2023

LA STORIA DI SALMA AL SHEBAB – CONDANNATA A 34 ANNI DI CARCERE PER UN TWEET

Siamo nel 2022, eppure esistono ancora Paesi nei quali sembra di vivere in pieno Medioevo. L’Arabia Saudita non è un luogo inclusivo per le donne, e con la condanna a 34 anni di Salma al Shebab per un tweet, sembra essere la conferma di un clima altamente repressivo e controllante.

Salma al Shebab è stata condannata a 34 anni di carcere più altri 34 di divieto di viaggio, per aver aperto un account Twitter ma ancor di più, per aver ritwittato e seguito attivisti per i diritti umani e dissidenti verso l’Arabia Saudita.

Al Shebab (che ha 34 anni, e quindi è stata condannata a due volte tanto la sua età attuale), madre di due figli e studentessa all’Università di Leeds, era rientrata in Arabia Saudita per una vacanza, dove venne arrestata il 15 gennaio 2021, subendo 285 giorni di interrogatorio. La condanna, inizialmente di tre anni, per “aver utilizzato Internet per provocare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale”, come spiegato nella sentenza, si è vista oltre che decuplicata in appello. Il tribunale speciale saudita per i terroristi, ha comminato la pena con questa motivazione, come riportato dal Guardian, che ne ha potuto visionare la traduzione: “Salma al Shebab avrebbe aiutato coloro che cercano di causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale seguendo i loro account Twitter e ritwittando i loro tweet”.

Ovviamente la vicenda ha avuto una grossa eco all’estero e soprattutto in Gran Bretagna, dove si trovano molti dissidenti. Questo accade subito dopo la visita in Arabia Saudita del presidente USA Biden, e la vicenda sembra avvalorare le tesi sull’ulteriore giro di vite ai diritti umani e alla comunicazione via Twitter da parte del principe Mohammed Bin Salman, piattaforma social della quale ha una partecipazione indiretta tramite il fondo sovrano saudita, il PIF (Public Investment Fund).

Altro che Rinascimento saudita, come decantato da un noto politico italiano: qui sembra di essere in una vera e propria repressione, incipriata coi petrodollari e le città vetrina sul Golfo Persico.

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